Se durante la prima fase le attività ristorative sono riuscite a sopravvivere e a limitare i danni (una percentuale davvero esigua stando ai dati forniti da FIPE nelle scorse settimane) questo secondo lockdown rischia di essere tutt’altro che light ed abbattersi come una pesante scure sul comparto dell’hospitality.

Allora come si può trasformare una crisi in opportunità?
Innovazione.
Per troppo tempo le attività sono rimaste ancorate al vecchio modello di business dove una vera proiezione economica non esisteva e l’azienda passava di mano in mano, di generazione in generazione.
Si potrà obiettare che innovare costa e che in un momento in cui vi è scarsità di capitale da mettere in circolo, fare investimenti diventa molto complicato se non impossibile. Vero. Ma innovare non significa solo investire denaro. Si può e si deve cambiare partendo da un diverso paradigma, di produzione e di consumo.
Rivedere la produzione richiede l’utilizzo di materie prime a Km0, di prodotti eticamente giusti, ricercare ed avvalersi di partner commerciali che rispettino le condizioni di lavoro dei dipendenti. L’innovazione passa dal maggior rispetto delle risorse umane, produttive e naturali/ambientali. Cambiare significa investire tempo in attività di responsabilità sociale da parte delle imprese: coinvolgendo i propri collaboratori, adottando azioni di trasparenza nella comunicazione interna ed esterna all’organizzazione, supportando le iniziative della comunità locale, sostenendo le entità territoriali, partecipando a gare benefiche ed iniziative di solidarietà nel proprio quartiere. Ricordiamo esempi virtuosi durante il lockdown di pizzerie che hanno sfornato per giorni pasti agli infermieri e medici, consegne da parte di supermercati a chi era in isolamento e associazioni di volontari che tramite il passa parola hanno aiutato i concittadini più bisognosi con la “spesa sospesa”.
Superato il momento di difficoltà attuale chi ne uscirà vincente sarà colui che è stato capace di creare un solido gruppo di lavoro, un team che sposa un progetto a lungo termine. Solo coinvolgendo le persone e rendendo più umane le nostre strutture organizzative potremmo rendere le imprese più responsabili e produttive quando l’economia tornerà a regime.
Innovazione e prossimità.
Il “bar di quartiere” per sopravvivere alla nuova onda d’urto del Covid dovrà reinventarsi con un’offerta attenta ai nuovi modi di consumare (take away, delivery, app per ordinare), alle nuove esigenze (smart working, didattica a distanza) e ai nuovi contesti urbani. Se prima il target ideale era rappresentato dai impiegati, uffici, banche d università, oggi le persone si spostano fuori dal centro urbano per abbattere i costi e ricercare una dimensione più umana e, contemporaneamente, lo smart worker esige che piatti e bevande arrivino impeccabili presso il proprio domicilio-residenza.
Di nuovo il team e la comunicazione vengono in aiuto delle attività. I social faranno in modo di accorciare le distanze comunicando in maniera semplice e diretta l’offerta, le tempistiche di consegna ed i relativi costi e le offerte per chi deciderà di usufruire del servizio delivery, take away ma anche drive through proposto dal locale. Agevoleranno inoltre le attività stesse rendendo l’organizzazione e la gestione più snella, semplice e creando soluzioni innovative come le ghost kitchen o il servizio di cocktail delivery.
Una sfida aperta che porterà ad un unico e necessario risvolto: un nuovo paradigma tanto di consumo quanto di produzione.