Recentemente, grazie al Documentario “Caffè e Vino, che sto realizzando insieme ad Andrej Godina, a Roma ho avuto l’occasione di incontrare Gerardo Patacconi (Head of Operations presso l’International Coffee Organization), che parlando di rito ed icone, ha confermato la mia sensazione, ovvero quella che anche a livello istituzionale l’esito di un sondaggio ha fatto emergere che i vari rappresentanti dei Paesi produttori di caffè considerano l’Italia quale luogo simbolo del Caffè, per altro con grande distacco sugli altri Paesi del mondo.
Se si intavola un discorso a Shangai come a Melbourne, a New York o a Londra oppure a Nairobi, quando si pronuncia la parola “caffè” la mente dei presenti vola dritta alla nostra bella penisola. E ciò non è certo un caso.
L’Italia, che ha dato i natali alla macchina da espresso ed alla moka, che ha coniato la figura e la parola “barista”, conta ad oggi circa mille torrefazioni (comprese le più piccole), mentre sono centocinquantamila i Bar disseminati da nord a sud; un numero impressionante, che va sommato alle tante altre attività in cui il caffè viene ordinariamente servito, come alberghi, ristoranti, pub, pizzerie, chioschi, ecc. ecc., senza considerare, ovviamente, quei luoghi in cui il caffè assume altre vesti e segue altri tempi, vale a dire case e uffici.
Non deve sembrare strano, dunque, che il biennio 2019-20 ha visto l’Italia, per mezzo di due diverse rappresentanze, presentare ben due candidature all’UNESCO, onde tutelare il caffè quale bene immateriale, ovvero il rito sociale, italiano da un lato, napoletano dall’altro.
E non deve sembrare strana neppure la decisione del Ministero degli Esteri, che come un tempo fece Salomone con le due madri contendenti lo stesso figlio, dinanzi all’innata tendenza dell’uomo di non compartire, ed alla conseguente impossibilità di assumere una decisione giusta, ha preferito spazzare via l’elemento di contesa, lasciando all’Italia tutta e a Napoli una bocca amarissima, tanto per restare in tema.
Unire le idee quanto i popoli non è mai stato semplice, e forse non è un caso che l’Unità d’Italia si sia realizzata anch’essa in Campania, in quel di Teano, in cui Garibaldi e Vittorio Emanuele II si strinsero la mano più di un secolo e mezzo fa.
Napoli è per l’Italia un grande centro culturale, e di certo lo stesso si può dire che essa lo sia per il caffè. Senza alcun dubbio la città con più bar pro capite d’Italia, con una media di consumo pari ad almeno il 50% in più che nel resto del Paese, ed un numero di torrefattori che copre il 10% di quelli nazionali, Napoli può vantare su un vero e proprio esercito di baristi, gestori, appassionati, operatori ed addetti al settore. Quanto alla penetrazione sociale della bevanda caffè, a confermarla ci sono le innumerevoli testimonianze provenienti dal mondo del teatro (E. De Filippo), del Cinema (Totò, P. De Filippo, altri), della musica (R. Murolo, P. Daniele, ecc.), e dell’insieme di racconti, fatti, gesti, scaramanzie, e semplici quanto solenni ritualità che si ripetono tutti i giorni nelle strade e nella case dei napoletani quando nell’aria si diffonde il profumo di caffè.

Personalmente, dal primissimo momento ho appoggiato la candidatura del Caffe Napoletano al riconoscimento UNESCO, e persino nel mio documentario ho sentito il bisogno di sottolineare l’unicità di Napoli nel modo di vivere e lasciarsi ammaliare dal caffè quando, intervistato, ho detto:
“Si pensi ad una tazzina di caffè degustata nel centro di Napoli, quel caffè avrà un sapore diverso che nel resto del mondo. L’universo di colori, voci, rumori, l’immancabile battuta del barista, lo stare gomito a gomito con degli sconosciuti e poi finirci per parlare, il frastuono delle tazzine perennemente al risciacquo, il profumo di caffè e di pasticceria che si fondono in un solo aroma, la tazza bollente, gli sguardi di chi aspetta in fila… insomma tutto questo e tanto altro fa di quel momento qualcosa di unico ed inimitabile. L’esperienza dunque altera la percezione, ed anzi spesso diventa la percezione stessa”.
Ma il caffè è un mondo troppo vasto per pensare di poterne detenere l’esclusiva, finanche quella rituale. Il magnetismo di una tazzina assume tante forme e diversi significati, anche a seconda di cosa dice la bussola, così, parafrasando Vasco Rossi, all’esito della decisione assunta a Roma, si ha come l’impressione che guardando bene a cosa questa bevanda sia “era una follia, avere pensato che fossi soltanto mia”.
I caffè storici sono presenti a Napoli, Trieste, Venezia, Milano, Roma, Cosenza, ecc. Le miscele “segrete” sono un cliché nazionale. La “pausa caffè” è un must dell’intera penisola.
Si pensi che la macchina da Espresso si deve ad un Lombardo, mentre la Moka è di stampo Piemontese; Liguria e Friuli Venezia Giulia sono le due maggiori porte di ingresso del caffè verde in Italia, Napoli è la prima per consumi. La più importante torrefazione d’Italia ha sede a Torino, la più redditizia per il mono porzionato a Napoli, l’arabica si vende per lo più al nord, la robusta è una prerogativa del sud. Insomma, ci vuole veramente poco a comprendere come il Caffè sia un’icona nazionale, poiché direttamente o indirettamente collegata ad ogni borgo del nostro Paese.
Napoli e l’Italia hanno perso un’occasione, ma per fortuna non era l’ultima. La via è già tracciata, poiché dal sentimento di confine, qual è quello del comune dolore provato nel vedere il proprio sogno strozzato sul nascere, può scriversi una nuova ed unica storia da raccontare al mondo, quella di un caffè, che passando anche da Napoli, afferma il suo rito affinché quella tanto amata tazzina possa raccontare molto di più di ciò che vive nei suoi bordi, svelando al mondo intero il vero gusto ed il vero segreto di un caffè italiano.