Per prima cosa, va detto che i cambiamenti climatici sono processi naturali, le temperature del nostro pianeta si sono raffreddate e surriscaldate durante le diverse ere geologiche. Fino all’epoca preindustriale, le oscillazioni del clima erano regolate esclusivamente da fattori esterni, con alternanza tra fasi più calde e più fredde.
La recente modernizzazione industriale è invece intervenuta direttamente in questi processi geologici rendendoli, inevitabilmente, antropici.
In media, la temperatura del pianeta è aumentata di 0,8°C dal 1900 a oggi. Buona parte del cambiamento si è verificato negli ultimi quarant’anni, quindi se volessimo inserire questi dati sul piatto del pensiero critico, potremmo dire che abbiamo accelerato la transizione climatica e non di poco.
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La proposta della Commissione Europea
Nell’ambito del Green Deal europeo, nel Settembre 2020, la Commissione ha proposto di raggiungere l’obiettivo della ridurre le emissioni dei gas serra entro il 2030. Questo provvedimento di lunga durata consentirà all’Unione Europea di progredire verso un’economia climaticamente neutra e di rispettare gli impegni assunti nell’Accordo di Parigi. Fra le altre cose, l’Accordo – sottoscritto nel 2015 e attivo dal 2020 – ha l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale, impegnando gli Stati (ad oggi 190 Paesi) nelle politiche ambientali e sociali. In che modo? Abbassando i livelli di inquinamento, per cui tornano a essere naturali il surriscaldamento e il congelamento del suolo, nonché della qualità dell’aria.
Carbon Neutral: zero emissioni entro il 2030
La proposta, già realtà, di un Green Deal Carbon Zero prende in considerazione tutte le azioni che da qui al 2030 saranno necessarie, e i Paesi hanno già avviato una serie di proposte legislative molto dettagliate al fine di avviare e realizzare i punti chiave del piano decennale. Insieme ai settori già consolidati, sono state inserite anche le realtà produttive interessate all’aumento dell’efficienza energetica e dell’energia da fonti rinnovabili.
Proprio su queste ultime si fondano le maggiori ambizioni e speranze di Carbon Zero 2030. Il piano si prefissa la riduzione di almeno il 55% delle emissioni di gas a effetto serra, attraverso un consolidamento del 35% delle energie rinnovabili, per ottenere un miglioramento netto del 32% sull’efficienza energetica per tutti i settori d’industria.

Caffè, sostenibilità e ambiente. Inizia qui la bella storia di un trinomio trascendentale
In ambito ambientale, ma anche sociale ed economico, la sostenibilità è un’asintote. Ricordate quella diabolica figura geometrica che si avvicina sempre di più senza mai raggiungere il punto prefissato? Ecco, è così: un processo di cambiamento costante, nel quale lo sfruttamento delle risorse e l’orientamento allo sviluppo vanno di pari passo con piani di investimento e politiche ecologiche.
Il frutto profumato di questo esercizio energetico è che soddisfa le esigenze di oggi senza compromettere irrimediabilmente le generazioni future. Essere sostenibili significa essere responsabili del modo in cui usiamo lerisor se per garantire ai posteri ciò di cui avranno bisogno per vivere, e al nostro pianeta ciò di cui avrà bisogno per non morire. Ma quando parliamo di sostenibilità nel caffè, in che modo prendiamo in considerazione il trinomio persone, pianeta e profitto?

Quale correlazione fra sostenibilità e caffè?
Insieme ai cambiamenti climatici, bisogna tenere presente anche altri fattori. Per esempio, i prezzi equi del caffè e gli accordi internazionali (il primo è stato nel 1962) che regolano, appunto, il rapporto fra politiche economiche ed eccedenze del mercato Da lì sono nate le varie esperienze di certificazione a partire da quella Fair Trade. Persone, pianeta e profitto sono collegati da un fil rouge indelebile.
La sostenibilità economica promuove la sostenibilità sociale, non è un segreto. Così come non è un dato nascosto che molti Paesi produttori di caffè soffrano povertà estreme, in assenza di infrastrutture fondamentali per affrontare la vita in modo efficace e dignitoso. La sostenibilità economica del settore è legata alla sostenibilità delle comunità locali di tutto il mondo.
Come tutti i mercati, anche quello del caffè è volatile e soggetto a grandi squilibri fra domanda e offerta, quindi i produttori e le loro famiglie sono inevitabilmente vulnerabili alle leggi di mercato. I prezzi instabili del caffè hanno un impatto diretto sull’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e altre necessità per milioni di persone nel mondo che vivono appunto di questo mercato.
Un ecosistema messo a dura prova
Anche la lavorazione e il lato import-export del caffè hanno un forte impatto ambientale. Gli effetti della lavorazione del caffè sui corsi d’acqua e soprattutto sull’acqua potabile rappresentano un grosso ostacolo per i Paesi produttori. L’acqua del processo, inquinata, entra nei corsi d’acqua locali e può causare malattie o morte di piante, animali ed esseri umani. Inoltre, i cambiamenti climatici stanno colpendo i coltivatori di caffè come mai era successo dal XVI secolo a questa parte.
Le precipitazioni sono più rare, le temperature più alte, la siccità più diffusa. Il surriscaldamento del pianeta aggrava il peso di questa industria aumentando le problematiche per tutto il settore.
Ridurre l’impatto ambientale delle aziende produttrici di caffè, ma anche dei singoli individui che consumano questa bevanda, è un percorso lungo e irto di ostacoli. Tuttavia, i programmi migliorano di anno in anno, avvicinarsi alla sostenibilità è molto più facile rispetto a cinque anni fa.
Abbiamo semplicemente bisogno di dare priorità a fattori che, di solito, passano in secondo piano rispetto al mero profitto della singola azienda.
Al di là di queste considerazioni etiche, e restando con i piedi per terra, c’è una prima rilevazione empirica da condurre: quante industrie del caffè hanno alimentato la produzione di polveri sottili e di conseguenza, accelerato i cambiamenti climatici immettendo nell’atmosfera migliaia di tonnellate di gas tossici?

Il carbonio nella tazza quotidiana
Allo stato attuale, coltivare un solo chilo di caffè Arabica in Vietnam ed esportarlo nel Regno Unito produce emissioni di gas serra equivalenti a 15 kg di anidride carbonica. Si tratta di chicchi crudi o pre-tostati, prodotti con metodi convenzionali. Gli studi rivelano che la fase di tostatura del caffè contribuisce in media per circa il 15% dell’impronta di carbonio complessiva. Eppure, usando meno fertilizzanti, gestendo il consumo di acqu ed energia in modo più efficiente durante la macinazione, nonché favorendo l’esportazione dei chicchi vianave cargo anziché in aereo, i 15kg di emissioni di CO2 diventerebbero 4kg.
Prendiamo poi in considerazione la singola tazzina di caffè che tutti consumiamo a casa o al bar. Bene, in quella tazzina ci sono circa 18g di caffè macinato, quindi 1kg di caffè verde può produrre in media 56 espressi. Un solo espresso ha un’impronta media di carbonio di 0,28g, ma potrebbe arrivare a 0,06 se coltivato in modo sostenibile.
Esistono molti modi per ridurre ulteriormente l’impronta di carbonio del caffè. Usare il più possibile le energie rinnovabili per alimentare le attrezzature agricole, oltre che quelle industriali. Si tratta di minuscoli cambiamenti, piccoli come un chicco di caffè, che però regolano interi sistemi di manutenzione e stoccaggio, coltivazione e produzione.
Le buone pratiche, da qui al 2030
L’intento è chiaro: neutralizzare le emissioni ottenendo un risultato minore o uguale a zero, grazie alla misurazione dell’impronta carbonica delle attività, ovvero dalle emissioni di CO2 generate lungo l’intero ciclo di vita del prodotto. Uno step successivo è varare un piano di riduzione attraverso la gestione dell’energia e delle risorse, la prevenzione dell’inquinamento e la riduzione dei rifiuti. Inoltre, il percorso si dota della compensazione di tutte le parti che non possono essere né ridotte né eliminate: sono i crediti di carbonio certificati, come per esempio la piantumazione del caffè nelle aree di produzione.

I progetti in corso dei grandi brand
Nespresso ha già intrapreso il suo percorso verso un’attività sostenibile e si impegna dal 2020 a garantire tazze di caffè totalmente carbon neutral entro la fine del 2022. È un progetto ambizioso che riduce le emissioni e compensa la parte residua non eliminabile attraverso l’agrosilvicoltura.
Anche il gruppo Illy si impegna in questo progetto: il programma lanciato nell’ottobre 2020 vede gruppi di imprese, istituzioni e soggetti privati collaborare per un impegno solidale. Le tre direttrici del programma sono l’economia rigenerativa, l’azione sul clima e il benessere mondiale. Queste tre chiavi di lettura saranno anche il punto di partenza di tutte le politiche che seguiranno da qui al 2030.
Fra i colossi del caffè, non poteva mancare un intervento di Starbucks, leader indiscusso del caffè in bicchiere e del fast-coffee. Nel 2020 Starbucks si è impegnata per un futuro “limpido”, istituendo obiettivi ambientali volti a dimezzare la propria impronta di carbonio, acqua e rifiuti. Insieme alla drastica riduzione delle emissioni di CO2, Starbucks si impegna nella Carbon Neutral Green Coffee Mission, cioè a riutilizzare il 50% di acqua nella lavorazione del caffè entro il 2030.
Conclusioni
Quando c’è in gioco il benessere del pianeta (e dell’umanità) sostenibilità e sicurezza diventano tasselli fondamentali. La sfida entro il 2030 è lanciata, ma già si prevede che nuovi obiettivi verranno fissati per il 2050 (ricordate l’asintote?). Solo con una buona dose di impegno da parte delle istituzioni, si otterranno risultati soddisfacenti.
Salviamo il pianeta una tazza di caffè alla volta.