Partiamo subito da un fatto non indifferente: dopo l’acqua, il caffè espresso è la bevanda più consumata al mondo. Dal Perù al Giappone, dall’Italia al Sud Africa. Tutti, almeno una volta nella vita, hanno ordinato o preparato un caffè espresso. Non è un segreto che diverso tempo fa una domanda del Consorzio per la Tutela del Caffè Espresso Italiano all’UNESCO chiedeva di preservare e trasmettere l’identità e le radici (faticosamente guadagnate alla fine del XIX Secolo) del caffè espresso per come lo conosciamo oggi. Detto ciò, è lecito domandarsi perché un prodotto così speciale, inimitabile e scelto da miliardi di persone in tutto il mondo costi in Italia, il più delle volte, solo un euro.
di Caterina Moretti
Un excursus storico sul caffè per spiegare l’attualità
Era il 1884 quando Angelo Moriondo, imprenditore torinese, inventò una pionieristica macchinetta che lo avrebbe reso famoso nei decenni a venire. Tramite l’utilizzo del vapore, la sua macchina riduceva drasticamente il tempo necessario per preparare una tazza di caffè. Sono state proprio le macchine dell’inventore Moriondo ad aver reso sedimentaria nella cultura italiana il caffè espresso, perché divennero comuni non solo nell’immaginario comune, ma anche in tutte le caffetterie di inizio XX Secolo. Molto presto, all’alba del 1900, gli “espresso bar” popolavano le vie e le piazze più famose d’Italia, attirando clienti da ogni dove: tutti volevano un caffè espresso, dal basso popolino fino all’élite della società.
Arriva il 1911. La Prima Guerra Mondiale avrebbe presto sconvolto le certezze e gli equilibri di tutti i popoli Europei. Le economie e i mercati europee si preparavano a serrare i ranghi. Quelli del caffè non facevano eccezione. Le autorità italiane imposero quasi immediatamente un prezzo massimo per i beni di necessità. Il caffè, naturalmente, rientrava fra questi. Qui un dato che sembra superfluo, ma in realtà è molto centrale in questo tema: proprio mentre in Italia si imponeva un tetto massimo sul prezzo del caffè espresso, molti bar e bistrot iniziano ad addebitare costi extra per i clienti che si sedevano, rispetto a quelli che consumavano al bancone, oppure in piedi nel locale. Questa è una realtà molto attuale anche oggi.

Costi, tendenze e consumi che influenzano il prezzo dell’espresso
In Italia siamo molto eterogenei quando si parla di caffè. C’è chi lo vuole amaro, chi lo preferisce macchiato, chi deciso, aromatizzato, intenso, zuccherato, lungo. Insomma, dieci amici al bar è possibile che prendano dieci caffè diversi. Tendenzialmente, più si scende nella penisola italiana, più si preferiscono tostature scure e forti. Le dosi di caffè, di conseguenza, tendono a farsi sempre più piccole man mano che ci si sposta nelle regioni più calde. Se il classico espresso italiano a Trieste contiene 7 grammi di caffè per una tazzina da 25ml, a Palermo conta 6 grammi per 20ml in totale. Questo, naturalmente, incide sul prezzo del caffè.
L’espresso è generalmente più economico nel sud Italia. Oggi il caffè più economico si trova a Bari, per 0,75cent. Ora, volendo generalizzare ai massimi termini, il significato storico di questa scelta è tutt’altro che causale: alcuni torrefattori sono in grado di acquistare caffè verde più economico, e questo consente ai bar di mantenere i prezzi più bassi. Si tratta comunque di una scelta quasi imposta, a cui non tutti si sentono di acconsentire.
Nonostante l’inflazione il costo di un espresso è -più o meno- rimasto costante in tutto il Paese. Anche nelle regioni più care d’Italia il prezzo medio di un singolo espresso si aggira intorno a 1 euro e se il prezzo sale la clientela scende, perché non è costume che un caffè lo si paghi più di € 1/1,10. Una gran parte di pubblico sceglie invece di adottare la filosofia del “pagare la situazione” per cui un caffè, seduti, di fronte piazza del Duomo a Milano oppure nel centro di Piazza San Marco, lo paga con piacere anche 2,50euro. Perché appunto, si decide di voler pagare una situazione, e non un prodotto.
L’entrata a gamba tesa del Codacons, le idee dell’Istituto Espresso Italiano e le successive polemiche
Il Codacons, istituzione dell’autorità di vigilanza sui consumatori in Italia, ha presentato nel 2020 una denuncia circa i prezzi dell’espresso. A detta del Codacons, erano diventati troppo alti. In parte, questa denuncia tocca anche temi piuttosto delicati perché è stato il governo stesso d’imporre una “tassa Covid-19” sui prodotti di largo consumo come il caffè. Come dicevamo poco fa, quello che il Codacons mette in luce è la tendenza, forse esagerata, di molti bar acchiappa-turisti di fare la cresta sul prezzo del caffè con la scusa di trovarsi in una posizione molto centrale, molto turistica, molto frequentata. Non è un segreto che diversi bar di Milano, Roma, Firenze, Trieste, Torino, Venezia etc servano caffè espresso con prezzi che viaggiano dagli 1,50 a 2,00euro.
Abbiamo chiesto il parere di Maurizio Valli di Bugan Coffee Lab. Si tratta del primo Laboratorio di Caffè in Italia e Maurizio si presenterà ai prossimi campionati mondiali Barista e Brewing proprio con il suo Laboratorio. “Il male comune in Italia sono le torrefazioni, perché hanno dato il via alla forte problematica del prezzo, facendo diventare il caffè una materia prima nazional popolare – esordisce Maurizio, – siccome ti regalano attrezzatture e prodotti, ormai aprire un bar significa ottenere un servizio quasi asservito al brand. Oggi i baristi non sanno cos’è il caffè, e questo incide tragicamente sulla qualità di quel che viene servito.”
A difendere produttori ed esercenti arriva l’Istituto Espresso Italiano, con una presa di posizione più ideologica che reazionaria. Chi difende il caffè dal prezzo esoso non tiene molto conto delle reali problematiche riscontrate dal pubblico ma si concentra invece molto sulle perdite totali di bar e caffetterie. A questa controversa idea si contrappone la maggioranza del pensiero comune, che vede nell’origine del prodotto e nelle condizioni di servizio uno dei prezzi più bassi d’Europa (come dicevamo prima), che tale deve rimanere, secondo molti. Il problema nasce quando si ragiona in termini nazionali: garantire un margine adeguato di prezzo blocca, volente o nolente, lo sviluppo del settore. Un ambiente privato di formazione e consapevolezza non riuscirà mai a garantire una qualità sempre crescente.
Al contrario, tratterrà a sé quante più risorse disponibili e cercherà di fornire un servizio adeguato ai costi/prezzi che è in grado di esercitare. Queste polemiche si sono poi naturalmente allargate a macchia d’olio nel panorama socioculturale italiano. Da un lato c’è chi vede la tazzina come un bene di base, un’abitudine quotidiana irrinunciabile e il cui prezzo deve essere calmierato quanto più possibile. Dall’altro lato invece sono oggi in molti a spingere perché il caffè in Italia non venga più ghettizzato da un prezzo così basso come 1euro tondo, perché svilisce la qualità e mette questa bevanda su un treno merci insieme a tanti altri prodotti gourmet di infima provenienza. L’opinione pubblica è molto divisa e la strada per un accordo comune sembra oggi non tracciata, e quindi mai percorsa.

Quando parliamo di qualità del caffè, a che cosa facciamo riferimento?
In primo luogo, bisogna proprio ammettere che quando si tenta di attraversare in maniera obiettiva la tematica del caffè in Italia si incorre sempre, o quasi, in retoriche dietrologiche tradizionaliste e un po’ datate. “Abbiamo sempre fatto così” è diventato il motto di chi vede il progresso come un errore globale che evidenzia i limiti dell’innovazione. Questo atteggiamento è senza dubbio una delle ragioni che porta il nostro paese ad essere retrogrado nei confronti delle tendenze estere (basti pensare alla aberrante politica “No Starbucks” messa in atto nel 2018). Premesso ciò, appare però lampante che anche chi grida ‘al lupo al lupo’ nei confronti di un caffè che non si mostra sempre all’altezza…ha ragione. Si tratta di un’amara verità, troppo scottante per molti sostenitori e tradizionalisti del caffè italiano come unico caffè bevibile.
Andrea Lattuada, proprietario di Little Bean, è molto chiaro sulla sua posizione. “Non siamo quelli che bevono più caffè al mondo. Gli italiani sono ancora convinti che ne beviamo tanto, e quindi deve esserci un prezzo basso“. Andrea possiede 9bar e ha fatto del caffè il suo leitmotiv, “Qui in Italia siamo così convinti di bere caffè di qualità da non riuscire a trovare una soluzione comune. Entra quindi in gioco la professionalità di chi lo vende. Bisogna dimostrare che il prodotto è di qualità, non darlo per scontato“.
La tragicità in cui siamo incappati è che abbiamo tutta una retorica del caffè come carro trainante della nostra cultura gastronomica. A conti fatti, però, la qualità del caffè che beviamo al bar o al ristorante non è un’eccellenza o, almeno, non lo è più da molti anni. Un prodotto che prima davamo per scontato adesso ci lascia con un sapore sgradevole in bocca e facciamo davvero fatica a considerarlo il non plus ultra di fine. La caffetteria italiana ha gettato le basi per delle tradizioni che adesso non sempre riesce a mantenere, questo è tristemente innegabile. La delusione che ne consegue non è difficile da immaginare: ci scontriamo con la dura realtà. Dire che il caffè italiano è il migliore al mondo significa voler rimanere convinti di una reminiscenza patriottica che ha sicuramente delle forti basi realistiche, ma che non trasuda oggi la stessa veridicità di un tempo.
Come si esce da questo cabaret gastronomico?
Mettendo in piedi alcune delle migliori armi che abbiamo a disposizione. Quando si tratta di fornire un’informazione, un prodotto o un servizio, la cosa migliore da fare è puntare sulla consapevolezza e sull’onestà. Consapevoli di non avere più un primato mondiale, onesti nel saperlo ammettere. Questo non significa scendere dal piedistallo, ma allargare i propri orizzonti mentali e non rimanere fossilizzati in convinzioni errate. Rimanere trasparenti quando si parla di caffè è molto difficile perché, e si badi bene a non travisare queste parole, ognuno ama dire la sua. E ognuno crede che la sua campana sia anche la più forte nel rintocco. Di fianco a queste considerazioni in bilico fra osservazioni generazionali e critiche convinte, dobbiamo sempre ricordarci che trasferire cultura significa non dimenticarsi le proprie radici, ma proiettarsi verso nuove possibilità e sinergie fra le diverse realtà. Così anche per il caffè. Vivere il resto della giornata con la dolce melanconia di quel caffè che abbiamo gustato per colazione. Non è forse questo il fine ultimo di una buona tazza?