Attualità

A quanto dobbiamo mettere l’espresso?

Leggi l'articolo di GADDO - Barista Trainer riguardo la spinosa questione del costo dell'espresso al bar e di un suo possibile aumento.


di Luca Gandolfi

Puntuale come da previsioni, irriverente e impietoso il giorno è arrivato e i giornali titolano a gran voce: “Stangata sulla colazione, caffè 1,50 euro.” “A quanto dobbiamo mettere l’espresso?”  è la domanda in assoluto più complessa che esce metodicamente durante i corsi di formazione. Da anni. Complessa poiché qualsiasi risposta netta sarebbe superficiale e pressapochista se non supportata da una serie di considerazioni necessarie e una strategia ponderata da attuare. Il contesto storico attuale ha semplicemente scoperchiato un vaso di pandora che bolle dalla notte dei tempi e che la rende ancora più ispida e pregnante.

Per poter formulare una risposta infatti, è imprescindibile avere saldi in testa una serie di dati e condizioni socio-culturali su cui si fonda questo settore, le differenze intestine tra regioni che rendono unica la nostra Italia, la visione della figura del barista e i suoi limiti, ma soprattutto tutto quel tessuto di falsi miti e profonda ignoranza che spesso sfocia in superbia e vanagloria che aleggia attorno alla nostra amata bevanda, o meglio, metodo di estrazione che ci ha reso famosi in tutto il mondo. 

Qui di seguito quindi una serie di informazioni e considerazioni che ritengo fondamentali, e ora più che mai non trascurabili, su cui faccio riflettere durante i corsi, per conferire qualche arma in più nell’elaborare il giusto prezzo dell’espresso: Il prezzo medio dell’espresso in Italia è da sempre il più basso di tutta Europa. (Chi non considera tutte le attrezzature e spese che concorrono alla formulazione di un espresso non ha la minima idea del concetto di Food cost. Motivo per cui molte attività nascono con destino segnato).

Il 95% dei baristi non conosce la miscela che sta lavorando e di fronte alla domanda “che miscela hai?” risponde automaticamente con il nome della torrefazione (che è come andare al ristorante di pesce, chiedere “cosa c’è nella grigliata di pesce?” e sentirsi rispondere “pesci del pescivendolo qui all’ angolo”). L’ espresso italiano è conosciuto in tutto il mondo ma 9 caffè su 10 IN ITALIA sono imbevibili senza zucchero (spesso non basta neanche quello) tanto che siamo tra i maggiori edulcoratori della nostra bevanda (Se vado in Germania 9 su 10 sono le birre buone, per citarne una).

Quando mettete una bustina di zucchero nel caffè (4,5-5 grammi) state inserendo circa 3 volte il quantitativo di caffè solubilizzato in acqua dalla dose inziale (un espresso mediamente pesa 14 grammi di cui il 90% è acqua…a voi i conti). L’ attuale prezzo del caffè verde è ai massimi storici. Così anche sono aumentate numerose altre commodities. La stragrande maggioranza delle persone (baristi inclusi) è convinta che in un ristretto ci sia più caffeina che in un lungo (è esattamente il contrario. Il lungo è la cosa peggiore che potete richiedere al bar: gli aromi sono dispersi in più acqua, il corpo è molto leggero, il gusto è sbilanciato verso l’amarezza e si estrae più caffeina e più solubili sgradevoli). I nostri influencer fanno migliaia di visualizzazione insegnando a fare la moka con la montagnetta e senza mai lavarla. (sì, è una porcata. Il caffè così estratto non verrà sfruttato omogeneamente e porterà fuori inevitabili sentori di bruciato e amaro)

L’ 85% dei baristi non sa montare correttamente il latte (sono stato buono). Il barista in Italia è considerato un lavoretto e non una professione, tanto che ci vuole a fare un caffè?  (Lavoretto per cui però bisogna: alzarsi presto, essere sorridenti, veloci, svegli, pazienti, saper usare un macinino, una macchina espresso, sopportare la frustrazione e l’ infelicità che ci avvolge e che ci viene spesso riversata addosso dai clienti…l’ elenco è lungo ma sono certo lo conosciate).

I primi caffè della mattina fanno ancora più schifo solo perché lasciate il caffè macinato esposto tutta notte e i braccetti con filtro appoggiati alla macchina freddi. (quando vi cucinate una bistecca lo fate usando carne lasciata all’ aperto 12 ore e per giunta su di una padella fredda?). 9 baristi su 10 non conosce le principali differenze tra Arabica e Canephora (robusta) (Anche se il paragone non é sullo stesso piano però come guardereste un barman che non conosce la differenza tra whisky e vodka?). Il 90% dei baristi non pulisce il filtro dagli scarti di dose precedente lasciando mediamente 1 grammo e mezzo di dose già estratta mischiata alla nuova (che è come cucinare 1 kg di ragù in una pentola dove avete 200 grammi di ragù bruciato dalla volta precedente. Qualsiasi nonna vi tirerebbe una matarellata in testa. A ragion veduta).

Quando ordinate un tè, 9 volte su 10 l’ acqua che viene utilizzata é erogata dalla macchina, che, a meno che non abbia un sistema di miscelazione apposito (ancora non molto diffuso),.arriva direttamente dalla caldaia, sistema chiuso dove l’ acqua inevitabilmente si modifica facilmente come Ph, può trattenere componenti dai metalli di cui é composta la caldaia stessa, vira nel colore, insomma diciamo non proprio idonea a questo utilizzo. Però un tè con magari una bustina mezza aperta e rinsecchita viene proposta a 2 euro quando va bene.

Potrei continuare per almeno altri 10 punti ma cito solamente alcuni argomenti: stracci bagnati sulle tazzine, temperatura di estrazione sconosciuta, filtri ciechi malfatti, campane/tramogge mai pulite dagli olii, depuratori dell’ acqua mal gestiti, lance vapore con microvita attaccata, lattiere che girano da sole, latte seviziato e riscaldato più volte…la lista è ancora molto lunga, purtroppo, e tocca argomenti su un ventaglio di variabili molto ampio (stipendi, contratti, turni, sicurezza sul lavoro, ect ect) Così come è ancora troppo lunga la strada per capire che il barista è un mestiere estremamente duro e che richiede professionalità, conoscenza, amor proprio, consapevolezza e formazione così come per TUTTI gli altri ruoli nella RISTORAZIONE. Su cui l’ Italia si fonda.

La pena é rimanere stagnanti ed inermi nel nostro stesso anacronismo e nella falsa idea di essere i più bravi al mondo a fare il caffè.

Per concludere, vorrei porre io delle domande: Perché siamo arrivati al punto di lasciar parlare associazioni a “tutela del consumatore” e giornalisti incompetenti in materia, che lanciano titoli clickbait, quando 1,30 – 1,50 doveva già essere un prezzo quantomeno più adeguato di un espresso da anni? Perché continuiamo ad accettare caffè bruciati e mal fatti quando se riceviamo una pizza o una paillard di carne bruciata ce la facciamo rifare?

Quanto incide in questo processo la mancanza di professionalità e di competenze degli stessi baristi e imprenditori di settore nel non essere in grado di giustificare e trasmettere cosa ruota attorno al nostro core business: il caffè. Vogliamo continuare ad essere cattedrali nel deserto o creare un settore forte, compatto e professionale?

Se siete arrivati a leggere fin qui, sapreste quindi rispondere alla domanda iniziale:
A QUANTO DOBBIAMO METTERE L’ ESPRESSO?  
Coraggio, servirà molto sforzo e molta energia per cambiare le cose