Ci svegliamo la mattina. Andiamo in cucina, azioniamo la macchinetta del caffè. Ascoltiamo il gorgoglio sommesso che riempie la nostra tazzina mentre i pensieri si fanno man mano più limpidi. L’aroma raggiunge le narici, respiriamo a pieni polmoni. Portiamo la tazza alle labbra, il primo sorso di caffè è il risveglio di tutti i sensi: sentiamo subito il motore dell’energia attivarsi nel nostro bioritmo quotidiano; ci vestiamo, prepariamo la borsa, saliamo in macchina.
Senza il primo caffè, ogni mattina sarebbe un’alzataccia.

Per la strada ci fermiamo al solito bar dove nel corso degli anni abbiamo vissuto alcuni dei nostri momenti più intimi, il ricordo di un amore di vent’anni fa, i momenti di ansia prima di una riunione importante, il trascinamento stanco e mesto di una giornata che volge al termine. Al barista che ci conosce non dobbiamo neanche dirlo, ci mette su un caffè appena ci vede.
Senza il secondo caffè, ogni mattina non sarebbe una routine perfetta.
E a noi piace questa routine. Ci piace da impazzire trangugiare il nostro canonico espresso e lasciare un euro sul bancone, di fretta, mentre abbottoniamo la giacca e solleviamo la valigetta che abbiamo custodito gelosamente fra i piedi mentre il caos delle otto di mattina imperversava fra i tavoli e dietro il bancone. Piatto e tazzina vengono velocemente scaricati dentro un lavandino colmo di loro simili, mentre noi salutiamo di corsa e ci avviamo verso la porta. Il nostro secondo caffè è già un momento passato, come un bagliore nella notte, viene subito seguito dal buio di una giornata ricca di impegni, call, appuntamenti, meeting e persone. Il primo caffè è ormai un lontano ricordo, forse addirittura abbiamo dimenticato com’era calma e tranquilla casa nostra, ancora in pantofole. Arriva ora di pranzo.
Un momento per andare tutti insieme a mangiare un boccone, fare due chiacchiere e bere un caffè al bar all’angolo. Non ci domandiamo nemmeno a che ora dobbiamo tornare alla scrivania, ci basta sapere che quei due minuti ci caffè sono il breve procrastinamento di un momento che chiamiamo ‘relax di metà giornata’. Anche qui, non appena usciamo dalla caffetteria, dimentichiamo subito quel sapore forte e intenso, e ci gettiamo di nuovo a capofitto nella nostra quotidianità. Avanziamo nelle ore, usciamo dall’ufficio, incontriamo amici, fidanzati, mogli e mariti. Una passeggiatina con il cane, uno Spritz se capita. Siamo di nuovo a casa, nel nostro comfort, davanti alla macchinetta del caffè, dopo cena. Alcuni lo bevono decaffeinato, alcuni non lo bevono affatto, alcuni hanno capito che comunque non disturberebbe il loro sonno; quindi, si regalano un ultimo caffè della giornata prima di crollare sul divano o sul letto, e lasciarsi trasportare verso memorie lontane o sogni futuri.

Ora, mentre noi dormiamo il sonno dei giusti, il mondo del caffè non si ferma mai. Da qualche parte sul globo qualcuno lo sta piantando, qualcuno lo raccoglie, altri lo macinano, in tanti lo tostano, e tanti altri ancora lo confezionano, lo spediscono, lo vendono all’ingrosso e lo immagazzinano dentro enormi container. Ma noi siamo sicuri, cascasse il pianeta, che l’indomani recandoci al baretto di sempre, ci sarà la tazzina per noi. E perché lo sappiamo? Perché il caffè fa parte del nostro vivere quotidiano, perché è un momento di passaggio, perché è un piccolo attimo di tranquillità; e poi ancora, perché lo abbiamo introiettato come parte della nostra esistenza, perché siamo italiani e l’espresso è per noi ancora un vanto internazionale, perché vogliamo pensare che lasciare la monetina sul bancone e dedicare al caffè il tempo, appunto, di un caffè, sia fare la nostra parte per dargli l’apprezzamento che merita. Perché gli abbiamo dato il valore di un minuto, e il prezzo di un euro.
Il prezzo del caffè è quello che è: ma perché?
Come abbiamo visto, nonostante vantiamo ancora di avere un ottimo caffè e di essere fautori di una tradizione centenaria, il tempo e il pensiero che dedichiamo al caffè è esiguo rispetto a quello che è il nostro vivere quotidiano. Abbiamo dimenticato il valore delle cose minuscole, e quel che è peggio abbiamo cancellato il privilegio delle cose importanti. Ci siamo adagiati nella nostra vita frenetica e nei costumi abituali lasciando invariato un prezzo che nasconde molte ingiustizie. Da un lato, siamo convinti, in Italia, che caffè e caffè espresso siano sinonimi – dice Maurizio Giuli, specialista del settore e CMO presso Nuova Simonelli – e questo significa non solo soddisfare un fabbisogno psicologico e sociale, ma anche fisiologico […] perché per noi bere un caffè significa sì regalarci dei momenti di convivialità con gli amici, ma anche iniziare la mattinata in modo attivo ed efficace. […] in altre culture, questo meccanismo non avviene così. Per esempio in Nord Europa, continua Maurizio, il prezzo della tazzina è più alto perché il valore ha maggiori margini di manovra, nel senso che per loro bere un caffè è quasi esclusivamente un’attività da fare in compagnia, non un bisogno fisiologico delle 8 del mattino. […] Noi italiani invece dividiamo la necessità dal piacere, e questo ha portato nella nostra penisola una moderazione dei prezzi della singola tazza.

Nella sostanza, il braccio di ferro fra consumatori, esercenti e Codacons va avanti attraverso colpi bassi e attacchi scorretti. Da un lato, in tanti lottano perché il prezzo rimanga proletario, calmierato a un euro per espresso, tanti altri stanno invece lottando con tutte le loro convinzioni per far passare il concetto che un euro, investito così, è una vergogna e anche un bell’oltraggio a tutta una filiera che sopravvive ormai di sussistenza. E noi capiamo entrambe le fazioni. Perché il caffè è davvero un fabbisogno, e ha creato una domanda sempre maggiore: se oggi il caffè alzasse il prezzo della singola tazzina, migliaia di persone smetterebbero di berlo, magari a malincuore, ma semplicemente non potrebbero più permettersi di investire in un piacere quotidiano diventato lusso; dall’altro lato noi comprendiamo anche che dietro l’euro di quella tazzina ci sono centinaia di migliaia di lavoratori che vengono sfruttati, e dinamiche di soprusi e complicazioni che hanno gettato nella miseria interi paesi, per un business che fa invece girare l’economia e riempie le tasche di tanti altri. Senza contare che un euro, nella maggior parte dei casi, non ha niente a che vedere con la qualità. La più cruda verità è che oggi il mondo del caffè si divide fra chi conosce il valore di quel che vorrebbe bere e allora sarebbe pure disposto a pagare di più, e chi non ha la minima idea di cosa sia un caffè di qualità, ma per abitudine e comodità continua a bere l’espresso al bancone e si convince che quell’euro valga tutta la bevanda che ha appena consumato.
Dopo tanto discorrere, chi ha ragione in tutto ciò?
Sembrerà il solito discorso di chi è bravo a fare della filosofia con i problemi altrui, ma qui è proprio il caso di dirlo; hanno ragione tutti quelli che vorrebbero vedere aumentare il prezzo del caffè. Questo non significa che gli altri non abbiano delle motivazioni, o che non sappiano come funziona il mondo, ma che hanno anteposto i loro bisogno primari a quelli di un’economia che sta vivendo il fondamentale collasso.