“Cerco barista tutto fare, pagamento in nero, 80 ore settimanali, solo stagione estiva, 300 euro al mese, no giorno libero. Astenersi perditempo”
Sembra l’incipit di un articolo di Lercio.it e invece è tutta realtà: ci siamo imbattuti in alcuni annunci su Facebook che offrivano queste condizioni. L’annuncio qui sopra l’abbiamo riportato così come lo hanno scritto, noi abbiamo solo aggiunto le virgolette.
Si sa, nel panico si fanno le cose più insensate. Ed ecco infatti spuntare come funghi proposte e offerte lavorative che mancano di quel raziocinio basico che sarebbe invece molto utile per cercare lavoratori. Il problema è ciclico, questa volta la soglia dei lavoratori stagionali che si occupano del turismo mancano di 250 mila individui. La voce comune degli esercenti, dai bar alle caffetterie, dai ristoranti alle pizzerie, è la stessa di sempre: manca nei giovani la voglia di impegnarsi.
Per noi questo è un caffè al retrogusto di bugia, e non ce lo beviamo più.
“Ai giovani manca la passione per il proprio lavoro”
Questo canto del cigno che vede nei giovani degli scansafatiche reticenti ad affrontare i sacrifici è proprio specchio di un’inconsapevolezza dilagante; non si può davvero offrire un lavoro senza nessun benefit e pretendere che le persone vogliano effettivamente svolgerlo. Altro grande evergreen è quella del personale che “lavora solo per i soldi e non per passione”. Su questo potremmo anche essere d’accordo, se la paga mensile di chi fa il barista fosse a 4 zeri per tutta la stagione estiva. Ma siccome i giovani vengono presi per fare “il lavoretto estivo”, e li si getta dietro al bancone senza un minimo di preparazione e di formazione, non si può nemmeno pretendere che questi spasimino per saperne di più sulla materia prima, sulle filiere e sulla passione per il chicco tostato.
Se quello che si offre loro è una paga irrisoria nei confronti di un lavoro a tempo pieno e per giunta anche molto faticoso, senza alcuna formazione, non ci si può aspettare che nasca in loro alcuna curiosità, figuriamoci passione. Su questo sì che siamo d’accordo; i giovani oggi fanno i baristi perché ricevono quell’esiguo gruzzoletto di monete rigorosamente in nero) che gli permette di fare qualche giorno di vacanza a fine stagione. E, visto quanto detto sopra, è anche giusto che sia così: se non formi una persona alla professione, questa lavorerà solo quel minimo indispensabile, non ci penserà nemmeno a camminare quel miglio in più. Il gioco non vale la candela, visto che a fine settembre si trova di nuovo senza lavoro.
“Non trovo lavoratori e la colpa è del reddito di cittadinanza”
Ultima superflua ‘lamentazio’ degli esercenti, questa volta decisamente più nuova rispetto alle due precedenti, è proprio l’immagine riflessa di chi non riesce a vedere più in là del proprio naso.
Il reddito di cittadinanza non è la causa dei mancati posti occupati dietro al bancone o nelle sale dei ristoranti. Certo, il reddito di cittadinanza ha creato tante altre problematiche e dissidi su cui ora non ci soffermiamo e in molti casi è stato riscosso da persone che non ne avevano davvero alcun bisogno, ma che non ci si permetta di pensare che il motivo per cui oggi nessuno vuole fare il barista della caffetteria sulla spiaggia sia il fatto che già riceve uno “stipendio” per non fare nulla. Capiamo l’astio e il fastidio, ma l’ignoranza proprio no. E ci permettiamo di usare toni un po’ bruschi perché i commenti a riguardo sono dilagati sui social per troppo tempo, e con modalità da vero circo degli orrori.

Prima di sputare sentenze o lanciare “j’accuse!” verso intere generazioni bisognerebbe fare qualche passo indietro e analizzare la propria offerta, o il contesto in cui la si offre. Forse offrire poco compenso e nessuna certezza per il futuro è una proposta ben peggiore di quella del reddito di cittadinanza. In entrambi i casi non si fanno passi avanti verso il proprio benessere. Però nel secondo caso non si sta nemmeno in piedi 15 ore svolgendo un’attività per la quale non si ha nemmeno un po’ di interesse, e ci si gode le vacanze, il sole, il mare.
“Cerco personale qualificato e sono disposto a pagarlo, a insegnargli il mestiere e a offrirgli un lavoro onesto e dignitoso”
Questa è una proposta che potremmo accettare. Peccato che ancora non ne abbiamo lette, e in tanti storceranno il naso. Perché insegnare un mestiere significa soprattutto investire nel futuro delle persone, ma anche nel proprio: si tramandano conoscenze e si dà la possibilità al proprio locale, bar, caffetteria e ristorante di vivere al passo con i tempi nonché di continuare a vivere. Se non si vuole fare così, ci si accontenti dei lavoratori infelici e mal pagati, che non vedono l’ora di finire il turno e infilare la mano nel barattolo delle mance. Però non ci si lamenti nemmeno del fatto che a maggio nessuno voglia salvare la faccia di un bar che non paga i suoi dipendenti. Perché altrimenti hanno ragione i giovani, a dire che gli esercenti non hanno cura di chi lavora, e che quindi i baristi hanno diritto a non curarsi del proprio lavoro e fare solo “il salto dietro al bancone”.
Noi una soluzione in tempi stretti non l’abbiamo. Vorremmo tanto. La realtà dei fatti ci si ripropone ogni giugno e puntualmente con l’arrivo dell’estate, siamo partecipi di queste dinamiche vecchie e sbagliate. Se possiamo azzardare un consiglio, noi cominceremmo a sbrogliare questa situazione partendo dall’onestà intellettuale del singolo: voglio davvero cambiare le carte in tavola o si preferisce inserirsi nel circolo vizioso di chi si lamenta, ma non vuole nemmeno trovare un compromesso?