Scienza

La fase finale dell’analisi sensoriale. Il retrogusto (o retrolfatto)

Questa fase dell'analisi sensoriale e ciò che ci lascia una pessima esperienza o un ottimo ricordo ed è ciò che rimane all'interno del nostro palato dopo aver deglutito il caffè

Capita purtroppo spesso di concludere un pasto con un caffè non all’altezza e di rimanere quindi con un retrogusto amaro e a volte bruciato in bocca. Il ricordo che ci rimane all’interno del palato dopo aver assaggiato qualcosa viene spesso chiamato retrogusto (e spesso la stessa voce si trova anche all’interno di alcune schede di assaggio). Ciò che però spesso trascuriamo è che buona parte di questa sensazione viene dal nostro olfatto, tanto che più corretto sarebbe chiamarlo retrolfatto. Così come accade per la distinzione dei sapori infatti, anche per l’attività retrogustativa o retrolfattiva è il nostro bulbo olfattivo, attraverso l’attività indiretta legata alla deglutizione, che ci aiuta a distinguere note positive o negative che rimangono all’interno del palato. Spesso è definito anche come “finale”, ovvero quella sensazione che resiste anche dopo diversi minuti dall’assaggio, e si confonde e mescola con la parte tattile.

Quando il retrogusto di in un caffè è positivo


Solitamente si tende a considerare il retrogusto di un caffè solo dal punto di vista della sua persistenza. Ci sono però alcune sensazioni che sono sì persistenti, ma non si possono definire del tutto positive. Pensiamo ad esempio proprio all’amaro e al bruciato, sono sapori e aromi molto intensi, ma che non possiamo definire gradevoli se la loro intensità supera una certa soglia. Stesso discorso vale per l’acidità: se eccessivamente marcata e prolungata, dà una sensazione balsamica quasi piccante di bruciore. Decisamente non una bella esperienza, per lo meno per la maggioranza dei consumatori. Così come per altri tipi di descrittori quindi, l’intensità non necessariamente va a braccetto con la qualità.

La bontà del retrogusto quindi fa emergere sentori legati alle reazioni di imbrunimento derivanti dalla tostatura. La fase centrale di un profilo di tostatura, dove si sviluppano gran parte delle reazioni di Maillard, darà vita a composti aromatici cosiddetti di distillazione secca, ovvero generati dalla rottura della parte fibrosa del chicco. Nella fase finale, avremo invece quasi esclusivamente caramelizzazione del saccarosio presente all’interno del chicco. Queste fasi saranno determinanti per creare complessità aromatica e viscosità, fondamentali per la nostra percezione positiva del retrogusto. In questo caso troveremo di conseguenza note gradevoli e persistenti di caramello, malto e frutta secca, unitamente ad una gradevole dolcezza e oleosità. Sentori di tipo enzimatico come il fruttato e il floreale saranno invece più mitigati in fase retronasale, data la volatilità e la complessità delle molecole odorose che li compongono. Va da sé che un caffè che riesce a conservare acidità e florealità anche in retrogusto sarà considerato di gran pregio. È il caso ad esempio della varietà arabica Gesha, che deve il suo successo proprio alla notevole complessità che la contraddistingue durante tutte le fasi di assaggio dalla fase olfattiva iniziale fino al termine dell’analisi gustativa.

A completare l’armoniosità del retrogusto interviene infine la parte tattile che enfatizza ancora di più la percezione del caramello, della dolcezza e del tostato.

Il gran finale


Pulito, persistente e poco amaro. Questi tre descrittori riferiti al retrogusto sono distintivi di un caffè di qualità. In altre parole assenza di difetti e dolcezza prolungata sono le parole chiave che determineranno un punteggio elevato in fase di analisi e che eviteranno al consumatore uno spiacevole finale con l’amaro in bocca, è il caso di dirlo, al termine di un pasto.