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I difetti di un caffè. Cosa cercare e da dove partire

Per saper riconoscere la qualità di un prodotto è necessario saperne indentificare i difetti attraverso una metodologia corretta e standardizzata. Valutare la qualità della materia prima è infatti un’analisi che richiede delle procedure standardizzate che è necessario conoscere. Di conseguenza non può prescindere da una formazione specifica che riguarda la classificazione del caffè verde e l’analisi sensoriale. Vediamo di seguito di sintetizzare le procedure da seguire dall’arrivo del caffè crudo in torrefazione.

L’analisi del caffè verde e le diverse fasi di classificazione

Un controllo qualità deve partire anzitutto dalla materia prima, che nel nostro caso è il caffè verde. Se si tratta di un lotto in arrivo assicuratevi di prelevare un campione di circa 1kg da più di un sacco e in diverse posizioni in modo tale da assicurarsi di valutare un campione rappresentativo dell’intero lotto. Dando per scontato che siano state fatte le opportune analisi per ottenere il nulla osta sanitario, dovremmo quindi procedere ad analizzare il caffè verde a livello fisico. Attraverso un igrometro e un densimetro avremo modo di misurare il contenuto di acqua (umidità) e la densità (rapporto del volume per il peso) del campione e quindi, se la tecnica di prelevamento del campione è stata seguita nel modo corretto, del lotto intero. Idealmente il livello di umidità per considerare un prodotto fresco e esente da rischi è compreso tra il 10 e il 12,5% per un caffè specialty, tra 8 e 12,5% per un caffè commerciale. La densità invece viene di solito misurata per deposito utilizzando un cilindro volumetrico e una bilancia in modo da avere un rapporto in gr/l. Questo metodo tuttavia non darà un valore di densità reale perché non tiene in considerazione lo spazio di aria tra chicco e chicco. Infatti i valori espressi con questo metodo saranno compresi tra 650 gr/l (bassa densità) e 800 gr/l (alta densità), valori più bassi della densità dell’acqua che significherebbe che il caffè dovrebbe galleggiare. Un valore più realistico verrà fornito utilizzando la densità per spostamento utilizzando il principio di Archimede, immergendo un campione di caffè verde in acqua. In questo modo, dividendo il peso del caffè utilizzato per la quantità di liquido spostato avremo un dato più preciso, ma avremmo buttato una parte del nostro campione che diverrà inutilizzabile. Ad ogni modo, uno o l’altro metodo, è bene sceglierne uno per avere uno standard e comprendere il profilo di tostatura più corretto da utilizzare per quel lotto.



La verifica della densità ci aiuterà anche a comprendere cosa aspettarsi a livello quantitativo e organolettico da quel determinato lotto in termini di complessità e acidità (di solito superiore per caffè di elevata densità e viceversa). Qualora si fosse acquistata una partita anche in base ad una specifica dimensione, il campione va analizzato anche con gli appositi crivelli. Anche in questo caso, oltre a valutare se il caffè acquistato corrisponde alla descrizione contrattuale, valutarne l’omogeneità ci aiuterà nell’elaborare un preciso piano di tostatura.

Terminati questi controlli di routine semplici ma necessari, al campione di caffè (la dimensione standard è di 300 gr per i caffè commerciali e 350 gr per gli specialty) va fatta la conta dei difetti totali. Per gli specialty esiste una tabella unica di riferimento, che tiene conto dei difetti primari e secondari, mentre per i caffè commerciali le tabelle di riferimento variano in base al Paese d’origine. È opportuno quindi saper riconoscere i difetti visivi e classificarli nel modo corretto in maniera da definire il grado esatto del caffè crudo. Per definizione, un difetto visivo è considerato tutto ciò che diverge da un chicco sano ed è causato da alcuni errori in fase di crescita, raccolta, lavorazione, asciugatura o stoccaggio. Tra i difetti più gravi si possono considerare i grani neri, i fermentati, i gravemente tarlati, gli ammuffiti e i corpi estranei. Ciascuno di questi non deve essere presente in un caffè specialty, mentre può esserci un po’ più di tolleranza in un caffè commerciale.

Un controllo ulteriore da considerare può essere l’analisi olfattiva del campione, che deve essere esente da muffe e altri odori sgradevoli. Il range di colore di un caffè verde invece dovrebbe essere sempre tra il verde chiaro e il verde brillante, quasi bluastro.

L’assaggio in infusione o cupping

Per comprendere l’impatto di questi difetti in tazza e scovare eventuali difetti non visivi, l’unica analisi efficace è quella in infusione, meglio nota come cupping. Qualsiasi altro metodo di estrazione risulterà infatti fuorviante e non del tutto efficace. In una scheda di assaggio, la voce relativa ai difetti è l’unica che sottrae punti alla valutazione finale, ed è quindi necessario conoscerne la corretta compilazione. Nella scheda da cupping (cupping form) sono 4 le aree che si riferiscono alla presenza di difetti, a dimostrazione che un solo difetto lieve può penalizzare molto la qualità di un caffè. Si parte da un semplice difetto di uniformità, che sottrae solo 2 punti per singola tazza, a difetti di mancata pulizia e dolcezza in tazza, che ne sottraggono altri 2 per tazza oltre ad aggiungere alla voce specifica dei difetti, la presenza di un difetto lieve (taint) o uno più grave (fault), che sottrae rispettivamente altri 2 e 4 punti al voto totale.


In tazza i difetti più comunemente riscontrati e definiti come tali sono il fermento, il fenolico, la muffa, lo stinker e il difetto di patata. Quest’ultimo è tipicamente specifico di una determinata area geografica, che comprende Congo, Burundi e Rwanda ed è causato da un insetto di quelle zone, l’antestia.

Formarsi sulle metodologie e gli standard da seguire e sul riconoscimento dei difetti è quindi fondamentale per poter gestire al meglio un sistema di controllo qualità.