Caffè di qualità interessante, caratterizzati da una notevole diversità espressiva, frutto di una differenziazione di specie e varietà botaniche, metodi di lavorazione, numero di referenze trattate, profili e tecnologie di tostatura, ed ovviamente scelte di ricetta.
Questo è il quadro emerso nell’incredibile lavoro di assaggio e recensione di centinaia e centinaia di referenze di caffè, portato avanti insieme ad Andrej Godina e ad un team di assaggiatori, durante i lavori del primo anno della Guida dei Caffè e delle Torrefazioni d’Italia.
Sembrerà strano, e di fatti lo è, che i risultati emersi dagli assaggi hanno restituito una qualità media molto diversa da quella attesa in considerazione dei continui attacchi che la torrefazione italiana subisce di giorno in giorno si tutti i fronti. Molte infatti sono le critiche che il mondo del caffè è costretto a subire, oramai da svariati anni.
E allora qual è la realtà? Come è possibile che la qualità del caffè, se testata rispettando precisi standards di protocollo, risulti del tutto differente da quella percepita da operatori e consumatori?
Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
L’importanza di un protocollo preciso e collaudato
Innanzitutto va specificato che normalmente i caffè di più alta qualità in dotazione alle torrefazioni sono destinati alle caffetterie, che rappresentano una linea professionale a cui le torrefazioni si rivolgono. Va da sé che potenzialmente il caffè degustato in caffetteria è di qualità superiore rispetto a quello che potremmo normalmente consumare a casa con la moka o in monoporzionato.
Chiaramente questa regola non vale per tutti, sia perché ci sono aziende che producono ad esempio solo caffè monoporzionati sia perché vi sono aziende che utilizzano le medesime referenze per tutti i canali (business, ho.re.ca., domestico).
Un altro dato da considerare è che nel caso della Guida del Camaleonte tutti i caffè hanno seguito un rigido protocollo di assaggio, fatto di grammatura precisa delle dosi, scelta attenta della granulometria, selezione della temperatura di estrazione, rispetto maniacale del rapporto acqua/caffè, utilizzo di acque adatte all’estrazione del caffè, utilizzo di strumentazioni perfettamente funzionanti e settate, disponibilità di baristi professionisti, rispetto dei parametri di estrazione internazionali, rispetto dei tempi di servizio, utilizzo di ambienti idonei all’assaggio, ecc.
Questo protocollo è assolutamente lontano dall’essere applicabile sempre e ovunque, poiché i luoghi e tempi di consumo mal si prestano alla degustazione professionale, fatta di dettagli difficili da replicare.
La capacità ed esperienza dell’assaggiatore
Da non sottovalutare, onde tendere ad una valutazione credibile, è poi la debita considerazione delle capacità organolettiche di chi assaggia. Ciò che è buono per uno può essere cattivo per un altro. Tale soggettività, che in alcun modo è negabile, va però messa da parte quando si parla di assaggio professionale. Conoscere le regole del gioco significa giocare allo stesso gioco.
Ecco perché il giudizio di un esperto diventa essenziale, onde evitare di cadere nell’equivoco che tutto può valere come il suo contrario. Così, ad esempio, saper distinguere l’acido dall’amaro, intercettare un flavore agrumato e declinarle la qualità, oppure stabilire il confine tollerabile di un dato sentore tostato di un caffè sono requisiti minimi e necessari (insieme a tanti altri) per poter partecipare ad un panel di assaggiatori.
Così il giudizio su un caffè, la sua classificazione, non può essere affidata ad una pluralità indistinta di palati non allenati, poiché se lo si consentisse ci si esporrebbe ad una statistica la cui interpretazione dei risultati risulterebbe impossibile, stante l’enorme varietà di esperienze, sensibilità, conoscenze e preferenze con le quali bisognerebbe fare i conti.
Ecco perché quando si assaggia in maniera professionale è importante selezionare gli assaggiatori, accertarsi che questi siano tutti formati all’assaggio e procedere con delle sessioni di calibrazione, onde ridurre al minimo le discrepanze organolettiche.
La difficoltà dell’assaggio al bar
Ma perché anche quando gli assaggiatori vanno al bar il caffè spesso risulta scadente? Questa è una bella domanda, che si presta ad una serie di possibili risposte. Il caffè è una materia che necessita di attenzione fino alla fine. Ma prima bisogna capire che caffè si sta bevendo.
Da anni riceviamo le lamentele da parte di numerosi torrefattori che denunciano pratiche scorrette messe in atto da alcuni gestori di caffetterie, che nell’affidarsi ad una torrefazione che garantisce loro spesso beni e servizi extra rispetto al caffè (es. strumentazioni, arredamento, customizzazione gadget, formazione, ecc.), pagano un prezzo del caffè più alto della media in considerazione di tale multi servizio.
Tuttavia, stando a quanto riferiscono alcuni, tale prassi di far pagare un sovraprezzo rispetto a quello che si pagherebbe per la mera fornitura del caffè espone i torrefattori alla possibilità, da parte dei loro clienti, di miscelare al caffè normalmente in uso, dell’altro caffè di qualità nettamente inferiore, reperito facilmente sul mercato, allo scopo di abbassare il costo medio sostenuto per ogni chilo di caffè.
Risultato di questa prassi patologica è il drastico abbassamento della qualità del caffè offerto ai consumatori (siano essi esperti o meno) che si recano al bar, e di conseguenza il falsare completamente la percezione ed il giudizio della referenza di caffè solo ipoteticamente utilizzata ma poi del tutto mistificata da improvvide oltre che illecite miscelazioni.
Qual è la formazione del barista?
E i baristi? Quanta competenza hanno a disposizione? Questa è un’altra bella piaga. Formarsi costa, ed il livello medio degli stipendi per la categoria baristi è molto basso. Si aggiunga a questo che gli orari di lavoro sono spesso massacranti e che oramai la categoria sembra scoraggiata. Ecco un altro elemento in grado di incidere negativamente o positivamente sulla qualità della bevanda e sulla sua percezione. Alcuni credono che “fare un caffè” sia una cosa semplice. Ma è una grande falsità.
Il bravo barista deve essere dotato di conoscenze tecniche molto profonde, poiché scegliere una ricetta di estrazione e saperla eseguire non è molto diverso dall’essere uno chef. Prima di estrarre un caffè bisogna determinarne la ricetta di estrazione, ovvero il rapporto tra grammi di caffè e grammi di acqua. Bisogna poi sceglierne la granulometria, ovvero il numero e la misura dei granelli in cui ridurre il chicco da macinato. Il barista deve saper pressare a dovere il caffè, deve determinare il tempo di pre infusione dell’espresso, la temperatura dell’acqua in estrazione, il tempo di percolazione, che a sua volta dovrà corrispondere ad una data quantità di caffè in tazza onde evitare sovra o sotto estrazioni. Ma non è tutto, poiché il barista dovrà fare attenzione anche al tempo del servizio, alla qualità dell’acqua adoperata, alla temperatura delle tazzine.
Prima di tutto quanto elencato, però, il barista dovrà aver saputo scegliere le sue strumentazioni, ne avrà dovuto studiare il funzionamento e si sarà dovuto allenare a sufficienza per destreggiarsi con professionalità tra di esse. Tutto questo avviene normalmente nei laboratori di assaggio, poiché come dicevamo determinare la qualità di un caffè è un’opera complessa e laboriosa. In caffetteria è tutto molto più difficile, sia per la presenza della clientela, che di fatto rende quasi impossibile il controllo di tutti i parametri ad ogni singola estrazione, sia per la scarsa disponibilità di professionisti validamente formati per svolgere il lavoro di barista a questi livelli di prestazione.
Ecco che, quindi, un altro rischio a cui ci si espone quando si assaggia un caffè al bar è quello di ricevere una bevanda estratta in modo atecnico che non si avvicina nemmeno al profilo aromatico e gustativo di quello stesso caffè estratto in condizioni ottimali. E’ un po’ come se si volesse paragonare il risultato di una ricetta preparata da un cuoco autodidatta e da un cuoco professionista.
Sia ben chiaro, il mondo della caffetteria vanta la presenza di tanti baristi di assoluto livello, ma purtroppo nella maggior parte dei casi si è posti dinanzi a livelli di professionalità molto bassi.
La corretta manutenzione della macchina
In ultimo ma non per ultimo in termini di importanza c’è il tema della manutenzione delle attrezzature. Obsolescenza fisica piuttosto che tecnologica, mal funzionamento, cattivo uso degli strumenti, disattenzione, inesperienza, trascuratezza e tante altre sciagure sono assolutamente incisive sulla qualità effettiva della bevanda in tazza. Una tramoggia oleosa ci restituirà un espresso amaro, spesso astringente e certamente sbilanciato al gusto. Un portafiltro otturato di calcare altererà il profilo di pressione dell’espresso, genererà molto probabilmente il cd “channeling” e si tradurrà in una tazzina di espresso sotto estratta. Macine consumate renderanno praticamente incontrollabile la granulometria, ingannando il barista e spingendolo a sotto o sovra estrazioni. Potremmo continuare per ore, e il risultato sarebbe sempre lo stesso.
Rimane il dato che un sola disattenzione in fase di manutenzione delle attrezzature è in grado di falsare gravemente l’esito dell’assaggio, rendendo un giudizio del tutto inaffidabile. Ecco perché quando si assaggia in maniera professionale è indispensabile il controllo del perfetto funzionamento e dello stato manutentivo delle attrezzature.
E allora come fare a conoscere ed indagare il valore di un caffè? Lungi da me il voler ricadere in un’opera auto pubblicitaria dirò solo che le strade sono solo due: la formazione e l’affidamento al giudizio di un esperto.