Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su quest’argomento che sembra ormai circondato da un alone di preoccupazioni, dubbi, domande e perplessità nel mondo del caffè e non solo. Partendo dal presupposto che, come abbiamo visto in quest’articolo, molti dei prodotti importati da Paesi dove la deforestazione è un problema ambientale e sociale non incidono direttamente sulla deforestazione ma ne sono una con-causa, le recenti normative europee circa questo tema sembrano aver gettato nello sconforto e nel caos molti settori d’importazione. Ecco come sono andate le cose, e cosa succederà adesso.
Cosa prevede la normativa UE
Qual è la sostanza del regolamento proposto dalla Commissione europea? Come molti temi politici che si affacciano sul sociale, è più facile spiegarlo che metterlo in atto. L’accordo raggiunto dai rappresentanti dell’Unione, insieme al Consiglio del Parlamento unitario, formalizzerà un nuovo atto che noi proviamo a descrivere con una semplice e breve frase: “La Commissione gestirà un sistema per identificare i Paesi che presentano il rischio di produrre materie prime o prodotti NON esenti da deforestazione dopo il 31 dicembre 2020”. Che cosa significa? In poche parole, significa che i controlli nei paesi produttori saranno più severi e stringenti, mentre gli obblighi per gli operatori dei vari settori varieranno in base al livello di rischio del Paese da cui importano i beni o i prodotti.
I molti dubbi che sorgono a seguito della normativa
Come dicevamo prima, è più facile spiegarlo che metterlo in atto. Sono molti, infatti, i dubbi che questa normativa ha sollevato. Da un lato ci sono le perplessità di chi è importatore: se i settori sono già molto attenti e hanno come obiettivo di preservare i territori da cui prendono le materie prime, come possono senza il supporto delle autorità locali accertarsi che le aziende agricole nei paesi produttori rispettino effettivamente una normativa europea facile da attuare nei Paesi limitrofi o dentro l’Unione, ma difficilissima se pensata per realtà lavorative oltreoceano? Dall’altro lato ci sono i Paesi produttori: le loro condizioni economiche e sociali, non sempre facili e ancora in via di sviluppo, non si adatteranno con semplicità a delle normative europee che, passateci il termine poco professionale, scendono dall’alto.
Le cause della deforestazione nei Paesi esportatori sono varie e molteplici, spaziano da ragioni abitative necessarie alla sopravvivenza degli individui fino all’utilizzo espansivo dei campi per l’agricoltura. Lungi da noi voler spezzare una lancia in favore della deforestazione, ma è pur necessario scendere a patti con la propria coscienza e ammettere una verità scomoda: nei Paesi che esportano caffè, cacao, soia e altri prodotti, la deforestazione è ancora un tassello triste ma fondamentale nella crescita dei mercati locali. Questo, naturalmente, è un punto su cui le istituzioni europee non si sono ancora espresse.

Cosa cambia per le aziende?
La risposta giusta a questa domanda è “molte cose”. L’Unione Europea, nel tentativo di formalizzare delle normative ambientali, utili e valide per tutti, ha appena approvato delle riforme che nell’effettivo, complicheranno un po’ la vita di chi importa i prodotti da molti Paesi del Sud America o dall’Africa. Gli operatori di ogni singola azienda dovranno raccogliere, catalogare e archiviare le coordinate geografiche del terreno in cui sono state prodotte le merci che immettono sul mercato. Di per sé, queste operazioni non sembrano nemmeno troppo complesse, ma considerando la distanza geografica fra i Paesi importatori ed esportatori, aggiunta al fatto che molte aziende non hanno contatti diretti con le realtà agricole ma effettuano i loro scambi commerciali con aziende locali e magari distanti dal terreno di coltivazioni, il filo rosso che lega le coltivazioni e le aziende sembra interrompersi quasi subito.
I passi avanti per le aziende
Se da una parte diventerà obbligatorio verificare ed emettere una dichiarazione sull’origine delle merci per garantire che non abbiano portato o comportato deforestazione e degrado forestale, sarà necessario anche verificare che i diritti umani siano rispettati durante ogni fase di produzione. Questo, da un punto di vista sociale e culturale, è una svolta epocale e vede protagonista l’essere umano in quanto tale, e non come lavoratore.
Di buono c’è, in questa normativa, che pone l’obiettivo per l’Europa di essere promotrice di nuove campagne sociali e ambientali, per rispettare maggiormente il territorio in cui si producono le materie prime che consumiamo ogni giorno e le persone che si occupano delle filiere di produzione. È un primo, timido passo delle istituzioni per applicare un principio di reciprocità nel commercio con i Paesi extracomunitari. Chiedere alle aziende maggiore attenzione agli standard sociali e sanitari vigenti nei paesi d’importazione, e affidare alle risorse europee dei singoli settori il controllo di ciò che viene importato.
I cambiamenti che avverranno nel settore del caffè
Il settore che a noi maggiormente interessa e ci riguarda è, ovviamente, quello del caffè. Come per molte altre filiere, anche quella del caffè dovrà adattarsi e rendersi partecipe a questo cambiamento. Negli ultimi anni molte aziende e torrefazioni sono riuscite a stare al passo con i tempi e i cambiamenti del settore, facendo leva sull’’import-export di caffè in modo equo e solidale, stringendo accordi sostenibili con le popolazioni locali che producono caffè e ammodernando la propria catena di produzione perché fosse un sistema vantaggioso per tutti. In poche parole, molti “big” nel mondo del caffè già condannano lo sfruttamento delle persone e del territorio, e si sono adoperati perché il caffè importato non fosse causa dell’impoverimento delle zone di esportazione.
Detto ciò, di fronte alla nuova normativa, pur riconoscendo l’importanza e l’efficacia di quanto verrà messo in vigore, diverse filiere sono preoccupate per il costo che dovranno sostenere a fronte dei cambiamenti. D’altronde il prezzo del caffè salirà inevitabilmente. Quel che però temono, al di là dei costi che serviranno a coprire i controlli necessari, è di dover pagare di più ciò che importano mentre guardano il prezzo della singola tazza venduta al bar rimanere stazionaria su 1,00 o 1,10 euro. Ma questo apre tutt’altro dibattito e andrà discusso in un altro articolo.