Attualità

Il caffè in Inghilterra – un grande aroma e poco più

Un indagine sul caffè in Inghilterra alla luce delle differenze socio culturali esistenti tra il nostro paese e il Regno Unito.

Me lo chiedono in tanti, se lo chiedono in tanti: ma il caffè fuori dall’Italia com’è? 


Per rispondere a questa domanda, solo apparentemente banale, è necessario immergersi nella cultura del luogo in cui si intende svolgere questa indagine. Recentemente ho avuto modo di vagabondare su e giù per l’Inghilterra, e alla fine del mio viaggio sono arrivato ad alcune conclusioni, che però devono essere analizzate alla luce delle differenze socio culturali esistenti tra il nostro paese ed il Regno Unito.


Preliminarmente va detto che la consumazione al banco praticamente non esiste, e se provate ad attendere all’impiedi la vostra bevanda vi inviteranno a sedervi o fraintendendo vi serviranno un caffè da asporto. Attenzione anche ai pagamenti, i contanti stanno letteralmente scomparendo, per cui accertatevi di avere plafond prima di arrivare in UK. Gli addetti al bar sono quasi sempre giovanissimi, e l’età dei frequentatori delle caffetterie (in modalità to stay) si aggira nella fascia 30 – 40 anni.


Venendo all’analisi comparativa, la prima evidenza, palese anche al primo sguardo dato ai menù delle caffetterie anglosassoni è che il caffè costa mediamente tre volte in più che in Italia e che la stragrande maggioranza dell’offerta è concentrata sulle bevande latte. Pochi, anzi pochissimi gli espresso serviti, con tendenza in tali casi a servire sempre un doppio anzi che un singolo. Inoltre, ad eccezione di qualche caffetteria gestita da italiani, che spesso si riforniscono di caffè torrefatti in Italia, la robusta è presso che assente nelle caffetterie locali. Il caffè è arabica, e in molti casi, anche se di qualità entry level, rimane a disposizione della clientela almeno una referenza specialty. Chiaramente stiamo parlando delle caffetterie con un’impronta artigianale, e dunque non quelle da grande catena (Costa, Caffè Nero, ecc.).



Le bevande caffè più di tendenza sono ora quelle aromatizzate e/o shakerate, con l’aggiunta di latte, zucchero, sciroppi e ghiaccio, in cui il caffè è posto in posizione tutt’altro che privilegiata (prodigioso anche l’avanzamento del Matcha latte, a base di the).
Quanto alla composizione delle miscele, queste tendono a privilegiare le origini centro americane, con una presenza massiccia se non in mono origine di caffè del Brasile.


Le preparazioni, realizzate con strumentazioni all’ultimo grido pulitissime e funzionanti, spaziano dall’estrazione in espresso al quasi sempre disponibile caffè filtro, con una buona presenza anche di cold brew e nitro coffee. La latte art sembra aver raggiunto una nuova dimensione, meno scenografica e più sostanziale, dal momento che è entrata a far parte delle preparazioni oramai de plano. La moka è presso che assente sia come preparazione che come offerta di caffè in busta. Tutte o quasi le caffetterie, però, vendono caffè in grani o in capsule, così come tazze, borracce e piccoli tools per prepararsi il caffè a casa.


L’approccio, anche in termini di offerta gastronomica, è decisamente diverso che in Italia. L’offerta dolce è burrosa, e a dominare sono brownies, cookies e cheese cakes, affiancati sempre da un’offerta salata, che spazia dalle uova agli avocado, passando da verdure grigliate a formaggi e pasticci. 


Ma in sostanza, il caffè com’è? 

Sebbene la qualità della materia prima sia mediamente buona, unitamente alla indiscutibile qualità delle strumentazioni in dotazione alla maggior parte delle caffetterie, la conoscenza del caffè è comunque bassa e si limita spesso all’uso della macchina ed alla realizzazione di latte art (più volte per rispondere alla mia domanda “ma cosa mi stai facendo bere?” hanno dovuto prendere la busta o la scheda del caffè). Le bevande sono spesso bollenti, e si bada molto poco alla crema dell’espresso (anche in termini di elasticità). Il tamping è spesso solo accennato, e interrogati sul perché i baristi spesso mi hanno risposto “mi hanno detto di fare così”.  



Morale dalla favola: la qualità media della bevanda è appena sufficiente poiché sebbene i caffè non siano molto amari ed i flavori siano di buona qualità, le estrazioni spesso deficitano per crema, bilanciamento dei gusti e persistenza gustativa. La sensazione percepita è quella di caffè senza difetti originari ma estratti nell’unica volontà di esaltarne la parte aromatica tralasciando spesso quella tattile e gustativa. La profilatura di bevuta risulta, quindi, solo in parte piacevole, poiché alla vista i caffè non sono cremosi mentre al naso eccellono per qualità e quantità di profumi. Al palato spesso l’acidità è di buona qualità ma poco bilanciata dall’amarezza e insufficientemente dalla dolcezza. Inoltre in termini tattili è quasi sempre bassa la scioglievolezza. Il retrogusto è certamente buono ma tuttavia spesso evanescente.




Ovviamente, come sempre, esistono delle eccezioni, dal momento che ho avuto il pregio di assaggiare alcuni caffè eccellenti per natura e mano dell’uomo e ahimè caffè poco raccomandabili in tutti i sensi.



La speranza è che gli enormi passi fatti in termini di attenzione nella selezione della materia prima e nella scelta delle strumentazioni possano nei prossimi anni condurre ad una maggiore qualità della bevanda in tazza, che non può prescindere da una formazione adeguata di tutto il personale ed una presa di coscienza da parte dei baristi del loro ruolo di veri e propri coffee chef