Vediamo da dove deriva la formazione degli acidi e come questi possano essere controllati e modulati all’interno del nostro prodotto finale, sia esso un espresso, una moka o un filtro.
Se vi venisse posta la seguente domanda: “Cosa determina maggiormente la percezione di acidità di un caffè: la materia prima, il metodo di lavorazione della stessa, la tostatura o la preparazione?” Cosa rispondereste di primo acchito?
Se la vostra prima risposta è “tutte le fasi menzionate indistintamente”, allora siete sulla buona strada. Vediamo quindi di procedere con ordine.
La botanica e il terroir
Come detto fin dall’inizio il caffè (tutto!) contiene un certo numero di acidi che si suddividono in organici, ovvero prodotti dalla pianta attraverso la crescita e la respirazione cellulare, e inorganici, che vengono in buona parte assorbiti dal terreno attraverso le radici. A seconda della specie, la varietà e il tipo di ambiente circostante (il cosiddetto terroir) avremo nella pianta, nel frutto e di conseguenza nel seme la presenza di acidi diversi sia per tipologia che per quantità. Ad esempio un terreno più vulcanico e ricco di fosfati aumenterà la presenza di acido fosforico (molto pungente), mentre temperature molto elevate non permetteranno un sufficiente sviluppo di acido citrico e malico (fruttati e complessi) per la scarsa disponibilità di zuccheri nella pianta. Specie e varietà, come per qualsiasi prodotto naturale, pure giocano un ruolo rilevante; di conseguenza la Canephora (o Robusta) avrà generalmente un maggior quantitativo di acido clorogenico e acido fosforico, mentre l’Arabica avrà maggior concentrazione di acido citrico e malico. All’interno della stessa specie Arabica poi ci sono varietà che possono contenere maggiormente acido malico (è il caso delle varianti di Bourbon del Kenya ad esempio), mentre altre sviluppano una maggior presenza di acido citrico e chinico (come i Catuai in Brasile).
Questo dovrebbe quindi aiutarci a comprendere meglio che un caffè non acido non esiste (già nemmeno la Robusta!). Dove nasce quindi l’equivoco? Proseguendo chiariremo ulteriori aspetti che ci aiuteranno a comprendere meglio.
La raccolta
Un buon raccolto ci darà un prodotto migliore. Aspetto scontato ma troppo spesso ignorato in tema di materia prima. Un prodotto che viene selezionato con maggiore cura, esente da difetti e di raccolto fresco avrà una maggior concentrazione di drupe mature e conseguentemente di zuccheri. Vedremo successivamente come questi risulteranno fondamentali non solo per la percezione della dolcezza, ma anche per lo sviluppo della complessità del prodotto finale. Assenza di difetti e di drupe immature significa anche un’acidità raffinata e non asprezza o ruvidità. Va da sé che un prodotto di questo livello avrà anche un costo leggermente superiore. L’importante è saper scegliere, come sempre.
La lavorazione
In origine la lavorazione del caffè aveva delle finalità puramente pratiche, poi si è scoperto che alcuni metodi potevano avere un diverso impatto anche a livello organolettico sul chicco fino ad arrivare al “fermento” (è il caso di dirlo) dei giorni nostri in merito ai processi post-raccolta. Tra questi, gli acidi che ne derivano senz’altro rivestono un ruolo di primaria importanza. Senza entrare troppo nel dettaglio tecnico (per lo meno non per il momento), noi sappiamo che una buona parte di zuccheri, in ambiente anaerobico e a determinate temperature, danno origine alla fermentazione e questa produce un certo numero di acidi, su tutti acido acetico e acido lattico. Di conseguenza tempi e temperature in cui questa fermentazione avviene vanno a influire sulla maggiore o minore presenza di questi due composti organici. Altro aspetto da non sottovalutare sono le reazioni enzimatiche che avvengono nel chicco quando da questo si separa la polpa (come nel caso del metodo lavato o semilavato rispetto al metodo naturale). Queste reazioni faranno sì che il seme all’interno si “risvegli” (non dimentichiamo che obiettivo primario di una seme è diventare una nuova pianta e non una bevanda) consumando zuccheri a favore di determinati acidi.
Ultimo, ma non meno importante, aspetto da considerare, poi, è che l’intensità e la complessità dell’acidità percepita dipende non solo dalla quantità di acidi presenti, ma anche da numerosi altri composti, tra cui gli zuccheri. Motivo per il quale un caffè naturale viene percepito come più bilanciato rispetto ad un caffè lavato o semilavato. Non tanto per una minore presenza di acidi, quanto piuttosto per un maggior sviluppo di zuccheri dovuto proprio alla lavorazione.
Eccovi introdotti quindi alcuni termini chiave per poter descrivere meglio l’acidità di un caffè dal punto di vista non solo quantitativo (alta o bassa), ma anche qualitativo, ovvero la complessità e il bilanciamento. Qui entrano in gioco in maniera preponderante le successive fasi di lavorazione del chicco, ovvero la tostatura e il metodo di estrazione. Ne parleremo più approfonditamente nel prossimo articolo!