È il vero oro nero. Il mercato mondiale del caffè torrefatto vale circa 120 miliardi di dollari. I numeri sono impressionanti: si parla di 170,8 milioni di sacchi da 60 kg, equivalenti a 3,1 miliardi di tazzine bevute ogni giorno su scala globale.
L’Italia è il settimo Paese consumatore al mondo con 5,2 milioni di sacchi annui, circa 95 milioni di tazzine di caffè sorseggiate ogni giorno, ovvero 1,6 in media per abitante. L’Italia è il sesto esportatore mondiale con 1,8 miliardi di euro (6,1% del totale mondiale) e addirittura il primo per quantità in termini di caffè torrefatto. Questi numeri sono contenuti in una indagine di Mediobanca che fotografa il mercato internazionale del comparto del caffè aggregando i dati economico-finanziari (triennio 2019-2021) di 49 gruppi italiani con ricavi complessivi per a 5,8 miliardi per un totale di 13.609 dipendenti.
La pandemia ha cambiato molte abitudini. Nonostante la radicata consuetudine del caffè al bar, il consumo domestico in Italia (con cialde e capsule), arriva all’82% (il 79% in Europa). Infatti, la grande distribuzione organizzata italiana canalizza oltre la metà dei volumi di caffè torrefatto venduti. In termini pro-capite, sono notoriamente i Paesi del Nord Europa a presentare i livelli più alti: 4,4 tazzine quotidiane per la Finlandia, 3,2 per la Svezia e 2,6 per la Norvegia. E si prevede un aumento regolare delle quantità nei prossimi anni, con tassi di crescita compresi tra l’1% e il 2% che porterebbero a un consumo fino a 208 milioni di sacchi nel 2030, ovvero 3,8 miliardi di tazzine al giorno. I primi dieci produttori soddisfano poco più del 35% della domanda mondiale, di cui il 16,1% in capo ai due leader mondiali: l’elvetica Nestlé e l’olandese JDE Peet’s. Gran parte dei consumi avviene lontano dalle aree di produzione.
Sebbene in Italia il caffè macinato in sacchetti resti il preferito con il 73,6% dei volumi totali venduti nella Gdo, cialde e capsule vi incidono per il 16,2% e rappresentano come detto il segmento maggiormente dinamico (+18,8% tra il 2020 e il 2021).Gli altri formati (in grani e solubile) sono meno apprezzati.Il prezzo medio di vendita nella Gdo italiana resta fra i più cari essendo pari a 12,1 euro al kg. Si tratta di un costo del 50% superiore ai principali Paesi consumatori: «Ma il fattore costo-sottolineano gli analisti di Mediobanca- non sarebbe così determinante in Italia: il rito del caffè è profondamente radicato nel nostro Paese, tanto da renderlo poco elastico al prezzo e inattaccabile dai succedanei (tè, orzo e altre bevande calde)».
Il fatturato non consolidato delle imprese italiane è stimato in 4,5 miliardi di euro, alle spalle delle francesi (7,2 miliardi), ma davanti alle tedesche (4,2) e spagnole (3,5).Sullo sfondo di questi numeri il distretto del caffè resta la vera locomotiva dell’economia triestina. Nel 2022 (citiamo fonti dell’Ires Fvg) le esportazioni di «altri prodotti alimentari», categoria merceologica che comprende essenzialmente il caffè, in provincia di Trieste sono state pari a poco meno di 270 milioni di euro, in crescita del 16,5%. La pandemia, nel periodo dei lockdown, ha alimentato il flusso dei ricavi aumentando anche da noi la quota dei consumi in casa con il boom delle capsule. Importante la voce dell’export dove il principale Paese di destinazione del caffè triestino restano gli Stati Uniti, con oltre 40 milioni di euro di export nello scorso anno (+15% rispetto al 2022). Tra i principali mercati di sbocco ci sono anche la Grecia, la Corea del Sud, la Francia e il Regno Unito. E poi la Cina che già vale vendite pari a 12,2 milioni (+61,6%)
Fabrizio Polojaz – «Così tuteliamo l’espresso, ma pesano le materie prime»
«La mia entrata nel Direttivo e nel comitato Scientifico del Consorzio di tutela del caffè espresso italiano tradizionale è un riconoscimento all’intero distretto giuliano del settore» dichiara Fabrizio Polojaz, presidente dell’Associazione caffè Trieste, che rappresenta una trentina di aziende locali (più una decina straniere, dall’Olanda alla Slovenia) e raggruppa le attività industriali, commerciali e di ricerca dell’intero settore, dall’import alla logistica, dalla tostatura e torrefazione alla distribuzione e al consumo finale passando per le lavorazioni specializzate.
Ma come sta andando il mercato del caffè dopo la forte destabilizzazione subita dalla pandemia e dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia che ha colpito fortemente il settore? Il distretto, nonostante tutto si sta riprendendo, pur «in un contesto difficile – racconta Polojaz – perché le aziende risultano sane. Certo, negli ultimi anni il comparto è diventato sicuramente ancora più complesso e articolato». Parecchie, infatti, le sfide da affrontare. Cominciamo dalla materia base, la commodity: «Le materie continuano – spiega Polojaz – a rappresentare un bel problema perché non hanno smesso di andare in altalena, per motivi vari. Grosso modo, il 60% degli approvvigionamenti è coperto dalla qualità arabica e il 40% dalla robusta. Ebbene, le posso dire per esperienza diretta che nell’ultimo mese la prima si è impennata del 14%, mentre la seconda è aumentata del 12 per cento»
Bisogna però sottolineare che i costi della materia prima rappresentato solo una parte dei maggiori oneri sostenuti dagli operatori: «Tutte le aziende – continua Polojaz – sono infatti alle prese con una miriade di problemi. Sa va dai costi energetici, solo in parte rientrati, alle disfunzioni portuali e logistiche ancora esistenti (almeno in parte). A questi aspetti si è poi aggiunta negli ultimi tempi l’inflazione e, di conseguenza, l’aumento degli oneri finanziari. Nonostante tutto il 2022 non si è chiuso male, dal momento che abbiamo recuperato i livelli pre-Covid». Forse anche perché sul versante del consumatore finale i prezzi della tazzina sembra siano stati abbastanza contenuti, al contrario di quanto era successo con la grande ondata inflazionistica di metà anni Settanta dovuta all’iperinflazione scatenata dalla guerra del kippur e dalla conseguente crisi energetica voluta dall’Opec guidata dallo sceicco arabo Zaki Yamani. Le principali aziende del settore sono infatti riuscite ad assorbire gran parte degli aumenti, contenendo i rincari verso il circuito delle caffetterie in pochi punti percentuali l’anno. Nella maggioranza dei caffè triestini il caffè al banco viene ancora fatto pagare un euro ».