È di qualche giorno fa la notizia che riguarda l’apertura del primo Starbucks di Roma, situato di fronte a Montecitorio, nel cuore della città. Notizia che ha aperto il consueto dibattito sulla possibilità per questo colosso di avere successo nel nostro Paese. A questo proposito noi vi abbiamo dedicato un articolo che mette a confronto le due diverse esperienze di consumo tra uno Starbucks e una tradizionale caffetteria italiana, dimostrandovi che ha poco senso paragonarle tra loro.
Alec Ross, scrittore e professore universitario, noto per il suo lavoro all’interno dei nei team di Barack Obama e Hillary Clinton in ambito di innovazione, attualmente insegnante di Economia a Bologna, ha recentemente condiviso un post molto critico su LinkedIn in cui sostanzialmente augura a Starbucks di fallire in Italia.
Secondo Ross, i bar italiani sono spesso di proprietà di famiglie da molte generazioni e quando si acquista un caffè in un piccolo bar, “i profitti restano nelle famiglie italiane e non vanno a una multinazionale che vale più di 100 miliardi”. Ross fa notare che negli Stati Uniti la maggior parte dei piccoli bar è scomparsa a causa del successo di Starbucks e invita a non seguire lo stesso modello qui in Italia.
L’argomentazione è valida, specialmente considerando che la storia di Starbucks è un vero e proprio esempio di sviluppo imprenditoriale: dal primo bar aperto a Seattle nel 1971, ispirato al nome di un marinaio del romanzo Moby Dick, fino al viaggio a Milano di Howard Schultz, che gli ha aperto gli occhi rispetto alla realtà italiana del caffè. Da allora, Starbucks ha conquistato il mondo interno e solo di recente è arrivato in Italia dopo mille tentennamenti, con l’inaugurazione dello Starbucks Reserve di Milano nel 2018.
Da quel giorno i commenti si sono sprecati sull’argomento, con opinioni sconcordanti circa il beneficio che ne sarebbe derivato; molti sostenevano che questo sarebbe stato un passo rivoluzionario per il colosso americano, ma anche per l’intero settore della caffetteria. In molti ci hanno visto anche un’opportunità di crescita, data la capacità comunicativa della multinazionale di Seattle e i prezzi non proprio popolari delle sue bevande a base caffè.
A più riprese abbiamo sottolineato quanto il settore caffè in Italia abbia bisogno di una scossa, non solo per un’offerta di maggiore qualità, ma anche per una gestione che possa differenziarsi e smarcarsi dalla solita routine. Il fallimento, o quantomeno lo scarso successo (che il fallimento non si augura a nessuno), di Starbucks nel nostro Paese dipenderà anche da quanto i nostri locali sapranno approfondire e studiare meglio la materia caffè, proponendola alla propria clientela con maggiore preparazione e consapevolezza.