Tostato

Come cambia la percezione dell’acidità grazie alla tostatura?

Dopo aver illustrato cosa sia l'acidità in un caffè, vediamo ora l’impatto della ultime fasi di lavorazione del caffè nella percezione sensoriale di questo gusto, iniziando dalla tostatura.

Nell’articolo precedente abbiamo parlato di acidità nel caffè, menzionando il fatto che in qualsiasi caffè avremo questa percezione gustativa, dal momento che numerosi acidi sono naturalmente presenti già all’interno del chicco verde. Non solo, se ci pensiamo bene in qualsiasi preparazione, sia essa una bevanda o una pietanza, la presenza di acidità risulta imprescindibile per ottenere complessità e bilanciamento. Il caffè in questo non fa alcuna eccezione, anche se è abitudine diffusa pensare ad un caffè acido come a qualcosa di sgradevole. Confondendo in questo caso molto probabilmente l’acidità con l’asprezza o l’astringenza.

 

Se in qualche caso l’acidità percepita ci sembra pressoché nulla, questo deriva piuttosto da una maggiore presenza di altri sentori o gusti, che da una reale assenza di acidità, che abbiamo già visto essere un’ipotesi alquanto improbabile. Nella prima parte dell’articolo, abbiamo trattato l’impatto dal punto di vista produttivo sulla presenza di questi acidi. Ora vediamo di proseguire quanto avevamo lasciato in sospeso analizzando l’impatto della ultime fasi della lavorazione nella percezione di acidità, iniziando dalla tostatura

L’impatto della tostatura sull’acidità percepita

 

La tostatura ha un impatto significativo sull’acidità percepita nella tazza che andremo ad estrarre. Nel processo di tostatura, il calore che viene applicato ai chicchi, modifica sia la percezione di molti sapori che di alcuni gusti base, in particolare l’acido e l’amaro. La temperatura e la durata della tostatura possono influenzare notevolmente intensità e percezione dei gusti, ma non solo: non è da sottovalutare linfatti a quantità di questo calore applicato in un certo lasso di tempo.

 

Ripartiamo però per un attimo dalla composizione degli acidi organici in un chicco di caffè verde, perché questo ci aiuterà a comprendere meglio che non tutti questi composti si comportano allo stesso modo. In un chicco di caffè tostato infatti, alcuni acidi degraderanno, altri aumenteranno e altri ancora verranno creati proprio grazie alla reazione con altri composti organici, formando nuovi sottoprodotti che contribuiranno alla formazione di un determinato profilo aromatico.

 

Acidi differenti, comportamenti diversi

 

Senza dilungarci troppo nei dettagli tecnici, cerchiamo di comprendere le reazioni principali dovuti al processo di tostatura. Partiamo dagli acidi in assoluto più presenti all’interno di un chicco verde: gli acidi clorogenici. Questi sono acidi che a livello organolettico danno una sensazione di astringenza e asprezza tipicamente vegetale. Al prolungarsi della tostatura andranno a ridursi notevolmente, motivo per cui un caffè più tostato risulterà meno acerbo e aspro. Assieme a questi si riducono però anche l’acido citrico, responsabile delle note più brillanti e fruttate e l’acido malico, che conferisce un sapore fresco e maggior complessità. Di conseguenza al progredire delle reazioni di Maillard in fase di tostatura, questi andranno a ridursi in concentrazione fino a renderli quasi impercettibili al palato.

 

Dalla degrazione degli zuccheri e in particolare nelle ultime fasi di caramelizzazione si formeranno due acidi pressochè assenti nel caffè verde: acido lattico e acido acetico. Il primo conferisce un sapore simile allo yogurt magro, come si può dedurre dal nome stesso, e si dice aumenti anche la percezione del corpo. Il secondo invece, al contrario di quel che si possa pensare, risulta piuttosto gradevole e solo ad elevate concentrazioni (al progredire quindi della tostatura) diventerà più aspro e astringente, come l’aceto appunto.

 

Recenti studi hanno dimostrato che acido citrico, malico, lattico e acetico insieme contribuiscono a creare la cosiddetta complessità in tazza e risultano correlati a punteggi qualitativi più elevati. Infine, la decomposizione degli acidi clorogenici contribuirà a formare acido chinico, già presente nel caffè verde e precursore del gusto amaro oltre ad una elevata astringenza. Ecco perché, superata la fase di caramelizzazione e all’avvicinarsi del secondo crack, la bevanda risuterà di nuovo amara e aspra.

 

 

Tempo, temperatura e intensità: è tutta questione di equilibrio

 

In conclusione l’abilità di chi tosta sarà quella di esaltare la complessità e la naturale acidità di un caffè facendo attenzione a non incrementare la concentrazione di acidi sgradevoli al palato, con la consapevolezza di avere tra le mani una coperta che come viene tirata da un lato si accorcia dall’altro. I parametri a disposizione del tostatore sono sempre tempo e temperatura ma anche l’intensità delle calorie immesse all’interno del tamburo, che può essere corretta attraverso la gestione del cosiddetto airflow, il flusso di aria, ormai regolabile in tutte le macchine di ultima generazione.

 

Una tostatura troppo intensa, con tempi di conseguenza più ristretti, porterà ad esaltare acidità più vegetali e una maggior astringenza, oltre ad aumentare il rischio di creare alcuni difetti tipici come lo scorching e il tipping. Un trasferimento di calore troppo debole non permetterà un corretto sviluppo delle reazioni chimiche all’interno del chicco, con il risultato di impoverire e “lessare” il prodotto finale. Il difetto che ne risulta è noto come baking perché andrà a produrre sentori simili alla crosta del pane e una tazza più povera proprio perché priva di acidità e brillantezza. Il tutto andrà infine modulato in base al metodo di estrazione che andremo ad utilizzare.