Nel mondo che viviamo, ogni giorno, ci accorgiamo dell’inesorabile avanzare dei tempi, a cui si accompagna di conseguenza un cambiamento legato al modo in cui l’uomo sta al mondo. Abitudini, rituali, parole, atteggiamenti, norme e persino dogmi religiosi sono sottoposti costantemente ad un’azione di secolarizzazione.
Così, ciò che sembra immutabile, si sgretola dinanzi ad un’umanità che inconsapevolmente scrive e riscrive la storia sulle stesse pagine di chi ha scritto in precedenza. Per dare sostanza visiva a quanto stiamo affermando, basti pensare al mondo della gastronomia e dell’odierna ristorazione. Sono lontani i tempi in cui Pellegrino Artusi (1820 – 1911) scriveva “Due sono le funzioni principali della vita: la nutrizione e la propagazione della specie” (citazione ricavata da “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” sua opera del 1891). Si, sono lontani quei tempi, ma quanto attuale sembra essere questa affermazione, specie in considerazione dell’attuale crisi dell’alta ristorazione e dell’esercizio di stile in cucina. A pensarci vengono i brividi. Più di cento anni fa tutti cucinavano, la disponibilità degli ingredienti era scarsa e legata alla maggiore o minore possibilità di contaminarsi col resto del mondo. I mercati, i porti, le fiere erano veri e propri labirinti in cui andare a cerca di tesori gastronomici. Eppure tutti cucinavano.
Oggi siamo all’esatto opposto. Non esiste ingrediente che non possa essere ordinato con un click rimanendo fermi a casa, tutto ha un prezzo ed un preciso sistema di tracciamento. I supermercati espongono on line. Eppure nessuno cucina più. Viviamo nell’era del delivery, del take away, dei fast food con drive-in, delle food hall annesse ai centri commerciali, degli “apericena” a base di rustici scongelati e vino in bolla grossolano. Eppure, con uno sguardo più attento, è già possibile vedere ciò che sta accadendo un po’ oltre il presente. Ristoranti stellati chiudono, quelli gourmet faticano. La cucina “di casa” torna prepotentemente a dettare legge. Così, piatti come pasta al forno, zuppe di legumi o semplici piatti sostanziosi compaiono sempre di più nelle osterie del centro. La mancanza di tradizioni a casa fa sì che la si vada a cercare altrove. Eccoci dunque finalmente a parlare di caffè.
Come ogni parabola, anche quella del caffè è soggetta ad un cambio di direzione. Anni di consumo schematico, poi l’onda hipster, poi l’era del consumo meramente abitudinario in mono porzione. E poi? Dove stiamo andando?
Questa è la vera sfida di ogni torrefazione: anticipare le preferenze del mercato. E’ evidente che nessuno possiede la risposta alle domande di cui sopra. Ma anche stavolta, se si indossano le giuste lenti, è possibile scrutare qualcosa all’orizzonte.
Ad esempio, si potrebbe pronosticare una lieve tendenza nella crescita dell’abitudine ad adoperare i sistemi di estrazione meccanici. Nell’ultimo anno mi è capitato di dover assistere e consigliare decine di persone nell’acquisto delle caffettiere napoletane, che sembravano oramai estinte. Le micro torrefazioni di quartiere lentamente tornano a comparire, incidendo notevolmente sulle preferenze dei consumatori e sulla possibilità di questi di consumare caffè sempre diversi e realizzati in maniera più artigianale. L’attuale consumatore è letteralmente stregato dalle “esperienze” e dalle “storie” da condividere (anche a causa dei social network), così, il fatto di vivificare l’esperienza di bevuta con una sessione di tostatura live in bottega, il confezionamento fatto sotto i suoi occhi e magari un caffè assaggiato insieme a chi lo ha prodotto, rappresenterà senz’altro un plus nei prossimi anni. Certamente non consumeranno tutti caffè filtro in napoletana. Ma da questo punto di vista l’avvento delle super automatiche ad uso domestico facilita molto le cose, poiché tutti potranno bere un espresso a casa senza doversi preoccupare prima di macinare, settare od operare in maniera complessa ad ogni estrazione.
Tornano quindi le botteghe del caffè, torna il consumo lento a casa, torna il caffè in chicchi da portar via. Ma non finisce qui. Se un’azienda dello spessore di Starbucks immette sul mercato un prodotto caffè addizionato di olio extravergine d’oliva, allora bisogna meditare. Certamente qualcuno darà il merito al marketing. Allo stesso modo, qualcuno obietterà che l’idea non è così innovativa ed unica (senza voler indagare sulle abitudini dei Paesi di produzione di addizionare spezie ed altri ingredienti al caffè, si pensi al Bulletproof coffee ad esempio), ma sta di fatto che dall’esperimento globale del colosso di Seattle ne viene un messaggio: esistono ancora tante cose da fare con il caffè. Se un’azienda americana riesce ad inventarsi un abbinamento con un prodotto d.o.p. italiano, quante altre cose possono fare le torrefazioni italiane? Tutt’altro che un semplice esercizio, in realtà la customizzabilità della bevanda caffè è un’operazione delicatissima, anche perché spesso abusata e mal realizzata. Ad ogni buon conto, ciò che vale ai fini dell’odierna riflessione è: in quale direzione muoversi?
Ancora una volta, quindi, si tratterà di capire cosa sta accadendo intorno a noi, e quali sono le forze in grado di accendere i desideri dei bevitori di caffè.
La sensazione, assumendo una prospettiva più grandangolare, è che il mondo del food (di cui è senz’altro parte il caffè) si sia concentrato nel tempo sulle sole dimensioni spazio-temporali di consumo, tendendo a differenziare ed assecondare i bisogni dei consumatori in base alle coordinate ottenibili incrociando i tempi ed i luoghi di consumo. In questa prospettazione, senz’altro qui riassunta in maniera semplicistica, sembra sempre più evidente l’incidenza e l’oramai non più trascurabile dato della terza dimensione, oltre il “quando” e “dove”, ovvero quella del “come”.
Questa terza dimensione racchiude in sé un insieme di valori. Il “come” esprime la qualità, certo, ma anche l’esperienza, l’impatto sociale, il significato percepito di un atto di consumo, la responsabilità e la sostenibilità del gesto di bere un caffè. In un certo qual senso il “come” è identificabile in un vero e proprio stile di vita personale. Così il caffè di ognuno di noi diventa parte di chi siamo, ci assomiglia, ci identifica, ci annuncia.
E lì che forse andremo nel prossimo futuro, o meglio, non so se questa lettura sarà il futuro, ma mi piace credere che possa esserlo.