Il World Coffee Research (WRC), un’organizzazione agricola di ricerca e sviluppo, ha da poco messo nero su bianco come gli investimenti nella coltivazione del caffè siano tuttora insufficienti per generare un’economia sostenibile e circolare. La mancanza di fondi genera una perenne instabilità e costanti perdite: meno coltivatori significano meno paesi che riescono a coltivare, e di conseguenza si genera un circolo vizioso dove l’instabilità dell’offerta è maggiore e i profitti per i paesi esportatori sono sempre minori.
La crisi dell’innovazione del caffè
“La crisi dell’innovazione del caffè”, scritto dal Dr. Mywish K. Maredia e Jose Maria Martinez, pubblicato successivamente dal WCR, sviluppa un modello economico al fine di fornire una base razionale per comprendere la dimensione del divario fra ricerca e sviluppo agricolo del caffè. Il nuovo fronte da combattere, o almeno da riconoscere, è quello dell’aumento della domanda e il cambiamento climatico. Sembrano due macrocosmi che nulla hanno a che vedere l’uno con l’altro, ma sono molto più vicini di quanto si pensi.
Il caffè è la bevanda più popolare al mondo e il consumo è in espansione sia nei paesi importatori sia in quelli esportatori. L’incombente crisi del cambiamento climatico – su cui non ci soffermeremo perché ne abbiamo già profondamente discusso in altri articoli – rappresenta una minaccia esistenziale per i produttori di caffè. Come se già la repentina modifica del clima non fosse un fattore comprovante per molti paesi, negli ultimi anni il caffè ha registrato tendenze di produttività costantemente stagnanti, o addirittura in calo nella maggior parte dei paesi produttori. A salvarsi da questo baratro sono i tre paesi che si pongono ai vertici della catena alimentare del mondo espresso: Brasile, Vietnam e Colombia.

Tendenze stagnanti e produzione al collasso
Nonostante le associazioni no profit come WCR abbiano cercato di invitare i paesi all’azione e gli sforzi collettivi per affrontare questa sfida, quasi tutti i paesi dove la produzione di caffè non è stabile, la situazione sta diventando sempre più critica. Infatti, la maggior parte dei paesi che coltiva ed esporta caffè in Europa e nel Nord America, pur non avendo un profitto nazionale basato solo sul caffè, riconosce in queste coltivazioni una buona fetta della propria economia locale, e i recenti sviluppi stanno portando il sistema interno di coltivazione e produzione al collasso.
Se le tendenze attuali dovessero continuare, non saremo in grado di soddisfare la crescente domanda mondiale di caffè, tanto meno di garantire che la produzione di caffè sia economicamente e ambientalmente sostenibile. Sebbene l’aumento degli investimenti nella ricerca e sviluppo del caffè possa aiutare a invertire questa tendenza malsana di accettazione della povertà dei coltivatori, l’attuale livello d’investimenti nello sviluppo agricolo è incredibilmente basso. Il valore totale del caffè verde costituisce circa il 4,8% del valore totale della produzione agricola nei 45 paesi produttori. Il caffè dovrebbe quindi costituire una percentuale simile degli investimenti del settore agricolo in questi paesi, eppure oggi l’importo dell’investimento è solo dell’1,8%. Il divario è lampante.

Sia Arabica che Robusta soffriranno il caldo
Le ricerche del WCR hanno messo sotto una lente d’ingrandimento le due principali qualità di caffè e, analizzate più da vicino, sia Arabica che Robusta si mostrano profondamente influenzate dal cambiamento climatico. Le stime di superficie e di rendimento diminuiscono nettamente in molti paesi di produzione e si prospetta una diminuzione del 13% in caffè piantali a livello globale, e un calo di rendimento del 7% entro il 2050. Sono numeri che, senza voler creare allarmismi, dovrebbero quantomeno suonare come un campanello d’allarme per tutti i paesi importatori.
Oltre a proiezioni della domanda e del cambiamento climatico, si stimano anche quelli che saranno gli investimenti necessari in ricerca e sviluppo per colmare i gap di rendimento e approvvigionamento. I due scenari di fornitura si dividono così: Il primo presume che una quota crescente di forniture di caffè verrà da paesi produttori con maggiore produttività (come prima, Brasile, Vietnam e Colombia), ma l’implicazione negativa è che ci sarà meno diversità nei tipi e nei sapori di caffè. La domanda dei consumatori verrà quindi soddisfatta, ma senza accontentare nessuno.
Il secondo scenario implica che la diversità geografica delle forniture di caffè si manterranno ai livelli del 2020, con il 58% della produzione in arrivo dal Brasile, dal Vietnam e dalla Colombia; il 14% dall’Asia; il 12% dall’Africa e il 16% dall’America Latina. Questo sistema sarà più differenziato, e porterà in Europa un approvvigionamento più eterogeneo nei sapori del caffè, ma non sarà né equo né solidale: milioni di famiglie vivranno di un’economia di sussistenza che rasenta la povertà e la schiavitù. Dunque, le prospettive sono queste. E siamo sicuri che sono entrambe non accettabili.

Conclusioni
L’attuale livello di sottoinvestimento non può continuare se il mondo vuole continuare a bere la propria bevanda preferita. Il consumo di caffè è troppo richiesto per poter essere interrotto di punto in bianco. Prima di ritrovarci a dover fare i conti con un caffè sempre più privilegiato e d’èlite, è necessario fare i conti con dei livelli d’investimento che non si avvicinano nemmeno agli attuali mezzi di sussistenza.
È impossibile sostenere milioni di mezzi di sussistenza nel mondo senza avere una base economica sana e prospera. Secondo l’analisi del World Coffee Research, gli attuali livelli d’investimento non sono (da nessuna parte nel mondo) abbastanza vicini a sostenere un diversificato sistema di fornitura di caffè. L’aumento della domanda, nei prossimi dieci anni, senza un’inversione di rotta negli usi e consumi quotidiani, porterà il sistema al totale collasso e la risalita da quel baratro sarà molto più complessa di quanto immaginiamo. L’investimento suggerito da quest’analisi implica un investimento di 567 milioni di dollari nei prossimi dieci o quindici anni, che sembra una cifra astronomica, ma in realtà è solo un po’ più del 2% del valore annuo delle esportazioni di caffè verde. Nel dettaglio, per un settore con un valore superiore a 200 miliardi di dollari annui, significherebbe mettere da parte meno di 0,3 centesimi per ogni dollaro di caffè venduto ai consumatori.