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Il Bar italiano può essere un’attività economica sostenibile?

La scarsa sostenibilità economica dei bar italiani è causata dalla vendita di caffè espresso a prezzi troppo bassi. Una formazione adeguata, enfasi sulla qualità, gestione finanziaria oculata e investimenti in comunicazione possono migliorare la situazione?

Questo mio articolo vuole essere una riflessione rivolta al gestore del bar italiano che, senza specifiche competenze professionali, spesso non riesce ad arrivare a fine mese. Alla domanda “il bar italiano è un’attività economica sostenibile?” la risposta immediata, senza altri commenti, è un secco “no”. Il “bar italiano”, ovvero quel locale pubblico dove avviene la somministrazione della bevanda espresso, è un’attività commerciale che sta economicamente in piedi a mala pena dove la merceologia caffè, estratta solamente in espresso, è venduta sotto costo. Per questo motivo il bar, per riuscire a sopravvivere, ha dovuto affiancare alla carta dei caffè molti alti prodotti, come una proposta food veloce, gli aperitivi, il gelato e in alcuni casi addirittura la tabaccheria. Il fatto stesso che il caffè non è in grado di produrre un profitto accettabile ha prodotto l’estinzione della “caffetteria italiana”, che oggi praticamente non esiste più.

Per capire il contesto che ha portato a questa estinzione e nel quale il bar italiano opera è indispensabile fare una premessa. Quando il caffè è arrivato in Europa, nel XVIII secolo, il primo effetto è stato quello dell’apertura delle prime caffetterie. In questi locali il caffè era venduto a un prezzo elevato, i clienti erano il ceto aristocratico e quello borghese europeo. Infatti a quel tempo il caffè non era per nulla democratico.

Le prime botteghe del caffè invece erano micro torrefazioni che vendevano il chicco tostato al dettaglio, o in grano macinato al momento, assieme ad altre spezie e coloniali. Con il passare del tempo le botteghe del caffè si trasformarono in torrefazioni industriali e le caffetterie si trasformano in bar anche grazie all’offerta dei finanziamenti ad opera delle grandi industrie della birra, delle bevande, del gelato e del caffè. Questo spostamento del focus imprenditoriale del bar verso i servizi di finanziamento è stato uno dei motivi per i quali la caffetteria di una volta si è trasformata nel bar odierno.

Il bar di oggi è un contenitore all’interno del quale si trovano sempre gli stessi prodotti, indifferenziati per qualità, dove il barista ha poca competenza sui prodotti e spesso la stessa persona si ritrova a preparare il caffè, gli apritivi, i cocktail e l’offerta food. Nel mondo del vino, da cui è possibile trarre qualche insegnamento di gestione e dei margini di profitto, c’è invece l’enoteca. L’enoteca è il locale evocato alla vendita e alla somministrazione del vino dove i clienti trovano sommelier preparati che costruiscono con competenze e non per finanziamento l’offerta delle bottiglie coerenti con le loro preferenze e sanno guidare le persone alla scelta del vino.

Perché ciò che è accaduto per il vino e non accade per il caffè? È forse un problema di scarsità di offerta della torrefazione in termini di prodotto?In realtà il caffè offre una grandissima varietà di referenze che possono essere offerte! Partiamo innanzitutto dalle due specie botaniche che si producono nei paesi di origine e che si declinano in centinaia di varietà differenti che sono coltivate in decine di paesi di produzione. Ogni regione di produzione dei singoli paesi ha un terroir completamente diverso che fornisce al prodotto finito caratteristiche sensoriali diverse.

Se dal punto di vista botanico e di terroir la diversificazione prodotto non ha nulla da invidiare a quella del vino, anche l’apporto dei diversi metodi di processamento sulle drupe raccolte influiscono sul flavore finale. Appare evidente che già da questi primi tre tasselli, la botanica, i paesi di produzione e i metodi di lavorazione, offrono la possibilità di spaziare tra più di un milione di caffè diversi! Da questo grande numero di opzioni di materia prima dobbiamo aggiungere le possibili miscele che la torrefazione può creare e le declinazioni che si ottengono con differenti processi di tostatura (per semplificare colore di tostatura chiaro, medio/chiaro, medio/scuro e scuro). Arriviamo così a qualche decina di milioni di diverse referenze tra cui il barista potrebbe scegliere per la sua carta dei caffè.

A questo punto dobbiamo tenere in considerazione l’ultimo passaggio della filiera di produzione, che non c’è nella filiera del vino, ovvero l’erogazione della bevanda, infatti ci sono più di una decina di metodi di preparazione differenti: espresso, moka, napoletana, aeropress, french press, macchina a filtro, chemex, hario V60, syphon, cold brew, cold drip.

Da questa premessa appare ben chiaro che la caffetteria di oggi avrebbe la possibilità di proporre un numero di referenze di caffè differenti sufficienti a creare una mono proposta merceologica, al pari di ciò che accade nelle enoteche.

Ma allora dov’è l’ostacolo che non permette di avere tutto ciò? La risposta è semplice, il prezzo di vendita. Se ci pensate bene il caffè espresso al bar è l’unico prodotto che è venduto allo stesso prezzo indipendentemente dalla qualità della bevanda. Infatti nella stessa area geografica, un caffè espresso 100% Arabica di buona qualità o di una miscela con tanta Robusta magari difettata sono proposti al banco allo stesso prezzo! Allo stesso modo il caffè erogato con professionalità da un barista formato costa lo stesso prezzo del medesimo caffè erogato male da un barista improvvisato e senza formazione.

Sia al bar che al ristorante assistiamo anche ad un paradosso: la porzione di acqua, la bottiglietta da 250 ml, è venduta a un prezzo più alto di quello dell’espresso. Ma come è possibile? L’acqua non ha aromi, non ha gusti, non ha caffeina… l’espresso invece ha più di 1500 aromi con un profilo di flavore complesso, viene coltivato a decine di migliaia di km di distanza, ha una porzione consistente di caffeina e di antiossidanti, lascia al palato un retrogusto piacevole e molto persistente.

Per aggiustare questi numerose incongruenze di settore e per iniziare a divulgare una cultura di prodotto, elenco di seguito, alcuni punti riassuntivi che possono, a mio parere, rendere l’attività del bar più sostenibile:

  1. Formazione: è importante una formazione basilare su tutte le merceologie vendute in caffetteria, in primis quella del caffè, in modo da rendere più consapevole la scelta dei prodotti, la loro trasformazione e lo storytelling da fare alla clientela.
  2. Flavore: è necessaria una competenza basilare sull’assaggio del caffè, innanzitutto per riconoscere eventuali difetti del caffè e di erogazione, e in secondo luogo per poter scegliere i caffè con i profili di flavore giusti per la propria clientela.
  3. Stop ai finanziamenti: oggi è indispensabile una gestione dell’attività che parte da uno studio serio e rigoroso dei “food cost” di tutti i prodotti, da un’ottimizzazione dei costi fissi e dall’acquisto delle attrezzature attraverso leasing con rate mensili.
  4. Coerenza: è importante, anche in termini di immagine percepita dal cliente, applicare in tutti i segmenti prodotto il medesimo livello qualitativo e lo stesso posizionamento valoriale.
  5. Comunicazione e marketing: destinare una giusta percentuale del fatturato alla comunicazione, in particolare quella sui social, per acquisire nuova clientela e fidelizzare quella già esistente.