Fino ad oggi, in Italia sono già presenti dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva dei singoli settori, ma talvolta questi risultano essere inferiori a quanto sarebbe previsto dalla nuova proposta. È il caso, ad esempio, del contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) nel settore del turismo e pubblici esercizi, quello più utilizzato nel mondo dei bar, dove il trattamento orario minimo è attualmente pari a 7,48 euro.
L’introduzione di un salario minimo è una misura che avrebbe come scopo la garanzia di un reddito minimo per tutti i lavoratori, ma è altresì evidente come, in un settore già estremamente martoriato come quello dei bar, potrebbe avere anche ripercussioni negative.
Tra gli aspetti positivi avremmo un aumento delle retribuzioni che potrebbe contribuire a ridurre la povertà e l’emarginazione sociale, ma anche un possibile aumento della motivazione e della produttività, in quanto i lavoratori percepirebbero di essere trattati con maggior rispetto e di ricevere un compenso più giusto per il loro lavoro. Nonché un aumento della competitività dell’intero comparto nel mercato del lavoro, con retribuzioni allineate a quelle degli altri settori.
Come dicevamo però, ci potrebbero essere anche diversi aspetti negativi, con gli imprenditori che potrebbero dover aumentare i prezzi di vendita al cliente finale, per compensare l’aumento dei costi del lavoro. Inoltre, l’introduzione di un salario minimo potrebbe portare a una diminuzione dell’occupazione, in quanto alcuni imprenditori potrebbero decidere di licenziare i dipendenti per ridurre i costi.
Insomma, stiamo parlando certamente di un misura complessa, che presenta sia pro che contro, e sarà necessariamente compito della politica valutare attentamente l’impatto che potrebbe avere.
Per una valutazione complessiva e realistica della situazione, occorre però tenere in considerazione necessariamente un aspetto che più di ogni altro condiziona l’occupazione nel mondo dei bar: il lavoro nero.
In primavera, ad esempio, si è svolta un’attività straordinaria di vigilanza, promossa e coordinata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro insieme ai Carabinieri del Comando Tutela del Lavoro, in cui sono stati sottoposti a controlli 445 tra bar, ristoranti e locali serali in tutta Italia. Il 76% dei lavoratori controllati presentavano irregolarità, 458 sono risultati completamente in nero, tra cui 16 minori e 101 persone originarie di paesi fuori dall’Unione Europea, tra le quali 18 senza permesso di soggiorno.
Ecco lo scenario reale in cui versa il mondo dei bar e partendo da questi dati appare quanto mai assurdo pensare di introdurre un salario minimo per ridare dignità ai lavoratori.
Perché, se da un lato abbiamo baristi e camerieri che oggi lavorano per 5 o 6 euro l’ora, senza contratto, senza tutele e spesso svolgendo orari massacranti in contesti privi di qualsiasi controllo di sicurezza, dall’altro lato abbiamo titolari e gestori di locali che sopravvivono solo grazie a questo.
Attività gestite senza un minimo di competenze imprenditoriali, che non sarebbero in grado di sostenere non tanto l’aumento retributivo, quanto soprattutto l’impatto che la regolarizzazione dei dipendenti avrebbe su conti economici già traballanti.
Ecco dunque la vera sfida di cui dovrebbe farsi carico la politica: ristrutturare un intero settore, che presenta i migliori prodotti e la migliore professionalità, inficiati da un’inesistente capacità imprenditoriale.
Locali generici, tutti uguali, che proliferano uno accanto all’altro senza una logica, capaci di puntare solo sul prezzo basso per attirare nuovi clienti, che peraltro poi non sono in grado di mantenere.
È evidente, non si potranno salvare tutti. Chi oggi sopravvive alle spalle della regolarità, danneggiando l’intera collettività, sarà destinato a sparire, mentre dovranno essere supportati quegli imprenditori pronti ad adottare un metodo di gestione aziendale professionale e basato su strumenti specifici.
La redazione di un conto economico previsionale, per prevedere l’impatto che potrebbe avere l’introduzione di un salario minimo sulle finanze del bar, ad esempio, potrebbe essere il primo strumento da mettere in campo. Magari con una formazione obbligatoria, al pari di quanto già avviene in ambito di igiene e sicurezza alimentare.
Altrimenti, nella migliore delle ipotesi, il salario minimo porterà alle più semplice delle risposte: l’aumento dei prezzi di vendita a compensazione dell’aumento dei costi del lavoro, mentre lo scenario più realistico, vedrebbe un aggravarsi della situazione di irregolarità delle assunzioni, con sempre più persone sfruttate e senza diritti, in barba a qualsiasi proposta di legge.