Credo che il caffè sia une bevanda esperienziale. Dal primo giorno in cui decisi di entrare a far parte del mondo del caffè, iniziai a raccogliere i vari significati che il caffè è in grado di incarnare in tutte le sue forme, in tutti i suoi luoghi, in tutti i gesti che ne accompagnano la degustazione, dell’universo che circonda la tazzina fino a diventarne parte integrante del suo valore.
Così, ad esempio, durante la mia prima esperienza cinematografica, sul set di “Cafè, storia di una ribalta napoletana”, provai a spiegare il significato del barista, inteso non semplicemente come operatore tecnico alla macchina da espresso, ma piuttosto come compagno involontario di bevuta. Provai a descrivere come questa figura rappresenti una chiave del successo della caffetteria. Il barista detta il ritmo del servizio, intrattiene il cliente, ne conosce le preferenze, gli propone nuovi prodotti, carpisce l’umore di chi gli sta di fronte. Questa figura, sia con la sua perizia, sia con le sue doti empatiche, incide in maniera determinante sulla buona o cattiva riuscita di una tazzina di caffè.
L’esperienza che si vive in caffetteria, però, esorbita l’ambito del bancone, andando ben oltre il solo gesto della bevuta. Si pensi ad una tazzina di caffè degustata al centro di Napoli in una bella giornata di sole. Ebbene, vi posso garantire che quel caffè avrà un sapore completamente diverso che in tutto il resto del mondo. L’universo di colori, voci, rumori, lo stare gomito a gomito con degli sconosciuti, finire addirittura per parlarci con questi sconosciuti, l’incessante rumore delle tazzine perennemente al risciacquo, il profumo di caffè che si mescola a quello di pasticceria in un solo aroma, la tazza bollente piuttosto che gli sguardi di chi è in fila e non aspetta altro che assaggiare quello stesso caffè. Bene, tutto questo e tanto altro fanno di quella esperienza veramente qualcosa di unico ed inimitabile. L’esperienza altera la percezione, finendo per diventare la percezione stessa.
Lentamente, dunque, inizia a delinearsi una fisionomia molto più complessa, che il caffè assume a specifiche latitudini ed in contesti differenti.
Il caffè del bar sotto casa, dunque, avrà un significato (prima che un sapore) diverso rispetto a quello del bar della stazione. Cambiano i rumori, cambia la velocità dello sfondo, cambia la zona di comfort, cambia il perimetro in cui quel momento di break è confinato. Poi, certo, cambia anche il caffè e chi lo prepara.
Le differenze sono tutt’altro che sottili anche in contesti meno distanti. Il caffè consumato su un treno in business class, seduti, nel silenzio, guardando fuori dal finestrino il mondo che scorre, sarà senz’altro diverso di quello stesso caffè, consumato sullo stesso treno, nel vagone ristorante in mezzo al brusio e circondati da altri viaggiatori che sgranocchiano chips in busta.
Potremmo continuare per ore, provando a sovrapporre livelli visivi, uditivi e olfattivi per sottolineare quanto le versioni di caffè siano differenti in maniera apodittica.
Rimane da capire quanto il contesto sia in grado di incidere sull’esperienza nella sua interezza. Tutto ruota intorno al piacere. Il piacere è una condizione difficile da identificare, etichettare e ripetere. Esso, al contrario di una formula matematica, assomiglia più ad una chiave in grado di aprire una serie di porte, che una volta chiusesi nemmeno la stessa chiave è in grado di riaprire.
Il caffè deve essere un piacere della vita. Che si tragga piacere dal suo aroma, dal gusto, dal retrogusto o semplicemente dalla vista o dal rumore prodotto dalla sua preparazione, nell’atto di prendere un caffè bisognerebbe essere posti nella condizione di provare un vero momento di gioia.
Ma il piacere è una condizione difficile da prevedere o riprodurre. Ecco perché la sfida nel produrre piacere inizia molto prima del vero e proprio sorbire la bevanda.
Il primo senso a cercar piacere è la vista, concentrato com’è l’occhio ad osservare solo ciò che veramente desidera. Se si vuole dunque che gli altri sensi si aprano al piacere, è dal bello che bisogna incominciare. Curare il luogo in cui la degustazione avverrà è cosa essenziale. Per intenderci è difficile emozionarsi brindando posti di fronte ad una stufa elettrica, ma se invece della stufa ci fosse un camino, allora sarebbe tutto più semplice.
Dopo la vista è il turno dell’udito. Il piacere è una condizione anche mentale, oltre che sensoriale. Un ambiente troppo caotico o chiassoso non favorirà certo la concentrazione così come alcuna forma di poesia.
Le emozioni si devono poter provare in intima solitudine o devono poter essere trasmesse a parole, per cui un luogo in cui il dialogo possa avere il suo spazio è di rigore.
Olfatto e gusto solitamente viaggiano insieme. Il luogo di degustazione, dunque, oltre che bello e non caotico, deve essere libero da odori pungenti ed altre contaminazioni che possano incidere sulla lettura di olfatto e gusto. Profumi, detergenti, e finanche fumi di cucina devono essere ridotti al minimo necessario, onde assicurare un’esperienza di degustazione autentica.
Stiamo parlando delle caratteristiche fisiche del luogo in cui poter provare piacere. C’è, però, un altro elemento essenziale al fine di predisporre la mente al piacere, ed è l’essere umano. Oltre al luogo ed al prodotto proposto, infatti, ciò che incide in modo determinante sul piacere è l’approccio umano di chi è portatore del messaggio di piacere. Torniamo, dunque, al principio di questa piccola analisi.
Colui o colei che sono da tramite, infatti, possono enfatizzare o del tutto annullare il piacere. A costo di sembrare banale, ribadirò che gentilezza, solarità e competenza sono doti preziose. Ricorrendo nuovamente ad un esempio di fantasia: immaginatevi di essere allo Sky Garden di Frenchurch Street, Londra, ovvero un giardino pensile all’ultimo piano del Walkie Talkie (un famoso grattacielo) da cui riuscite a osservare il Tamigi che scorre sotto il London Bridge, e le vostre orecchie sono allietate dal canto degli uccelli invece che dai freni del London Tube, mentre un’arietta fresca riempie le vostre narici. Attendete con ansia la vostra ordinazione, sia essa un Chemex o un espresso. Poi, all’improvviso, vedete comparire un inserviente al tavolo che si presenta senza neanche rivolgervi lo sguardo, appoggiando con fare rozzo la vostra bevanda sul tavolino e, in modo muto, vi porge il conto. Un dramma direi, irreparabile.
Le emozioni, rinomatamente, sono situazioni contagiose. Se si vede una donna piangere, anche in un film, spesso si finisce per piangere. E per fortuna il contagio avviene anche con la risata. Allo stesso modo anche le reazioni empatiche non sono casuali. Le buone maniere attirano a sé le buone maniere. Il sorriso produce sorrisi.
Il piacere, come abbiamo visto, è una condizione complessa e delicata, difficile da generare così come da proteggere, la cui riuscita dipende dalla combinazione di elementi umani, fisici e psicologici.
Prendere un caffè, dunque, è cosa diversa che berlo, poiché nel primo caso ci si nutre dell’intero universo che lo circonda.