Attualità

Il caffè di Napoli è buono o no?

Vacilla ancora il mito del caffè napoletano. Un recente articolo uscito su gamberorosso.it sembra aver stroncato la lunga tradizione del caffè partenopeo. È vero ciò che riporta l'articolo? Abbiamo ascoltato qualche voce fuori dal coro per comprendere meglio la verità sul caffè di Napoli, oggi

Diversi giorni fa usciva un articolo su gamberorosso.it che tarpava le ali a tutti quei miti storici sul caffè partenopeo e su Napoli come culla del caffè italico. Tutti noi, almeno una volta nella vita, si è trovato a dire o a sentirsi dire “il caffè buono come a Napoli”, proprio perché questa leggenda popolare del caffè “divino” napoletano è ormai insista nella nostra memoria. Ma la voce imperiosa di Gambero Rosso sembra aver spezzato questa illusione etichettando il caffè di Napoli come “bruciato, mediocre, non buono”. Sono parole dure per una città che ha costruito una parte del suo charme (e del suo turismo) sulla base di prodotti, in poche parole, di altissima qualità.

Noi, che abbiamo letto con attenzione l’articolo ‘incriminato’, ci siamo fatti un’idea piuttosto chiara sul concetto che l’articolo voleva trasmettere e, prima di lasciare la parola ad alcune figure importanti nel mondo del caffè, ve lo riassumiamo qui. Il testo si pronuncia molto duramente sulle miscele che il panorama partenopeo offre, definendole di bassa qualità, spesso imbevibili e lontane anni luce dal vasto paesaggio specialty che in altre parti del mondo è già famoso e apprezzato. Insomma, per Gambero Rosso il caffè a Napoli non riesce proprio a decollare, e ha ormai quasi del tutto perso la sua fama, finendo per crollare nella ‘mediocrità’.

Cercando quindi noi di andare controcorrente, abbiamo chiesto un parere alle figure professionali la cui esperienza sul caffè, vuoi per vicinanza geografica o per affetto partenopeo, potessero darci una visione d’insieme sull’’intera faccenda. A questo proposito, abbiamo intervistato Flavio Gioia, Direttore Commerciale di Caffè Gioia e Francesco Costanzo, Sales Manager di Caffè Costanzo e Presidente Associazione Maestri dell’Espresso.


Flavio Gioia, direttore commerciale di Caffè Gioia


«Da qualche tempo Napoli cerca di spingere verso una gamma alta di caffè, nonostante i pareri a riguardo siano ancora scettici» interviene Flavio. C’è, d’altra parte, un’innata reticenza e un marcato scetticismo quando si tratta del binomio “Napoli e qualità”. Sarà forse per un retaggio storico culturale solidamente convinto che il capoluogo partenopeo sia un po’ la causa di ogni male in Italia. Ciò che appare evidente nell’articolo di Gambero Rosso è che, comunque la si metta, parlare male di Napoli, forse in maniera fin un po’ semplicistica e generalista, è più semplice che cogliere i singoli casi e inserirli in un contesto dove il loro valore è messo in risalto da, ci spiace ammetterlo, tanta mediocrità. D’altronde, è un po’ come andare dal fioraio: è molto più semplice dire “faccia lei, prenda un po’ di tutto e metta insieme un bel mazzetto”, che scegliersi una a una le rose, i girasoli e i gigli.

Francesco Costanzo, Sales manager di Caffè Costanzo

«Infatti, – dice Francesco – il problema di fondo qui non è Gambero Rosso, che aveva forse lo scopo nemmeno troppo celato di far parlare di sé, ma il fatto che nell’articolo non sia nemmeno citato il grande cambiamento che Napoli ha fatto negli ultimi 5-6 anni. Napoli punta molto più sulla formazione, ha messo in prima linea l’apprendimento per i baristi e la conoscenza del caffè». Dopotutto, i dati parlano chiaro: il 35% dei baristi partenopei è più formato rispetto al passato, s’informa e prende parte a lezioni teoriche e pratiche per conoscere di più la materia e il mestiere. Certo, è ancora una percentuale molto bassa rispetto al numero delle caffetterie e dei bar, non solo a Napoli ma in tutta Italia. Non è un segreto che il consumo maggiore di caffè in Italia sia proprio in Campania, ma il concetto fondamentale da trasmettere è che la bassa qualità dipende sì dai bar e dai lavoratori non formati, ma è anche un vizio dei consumatori che bevono senza consapevolezza, in modo non responsabile e, passateci il termine, ignorante. È vero che non dobbiamo essere tutti cultori del caffè, perciò non possiamo sempre sapere se ciò che stiamo bevendo è di qualità, ma sappiamo tutti riconoscere un caffè buono da uno cattivo. «Questo principio, nel mercato del monoporzionato, è ormai mistificato, – continua Francesco – le persone bevono a casa un caffè di bassa qualità, si abituano al sapore, pensano sia quello lo standard e quando vanno al bar non sono più in grado di riconoscere la bevanda che stanno bevendo. Insomma, la realtà di oggi è questa, magari non per i baristi, ma sicuramente per i clienti».

Ma come siamo arrivati a questa situazione? Secondo Flavio, uno degli effetti scatenanti del fenomeno della bassa qualità è da imputare all’aumento dei costi di produzione. «Senza voler fare un’analisi socio-economica dell’Italia, è una situazione sempre più comune quella dei costi di produzione per le aziende, che sono incapaci di adeguare il prezzo di vendita per i bar, che a loro volta non posso aumentare i prezzi perché altrimenti non riescono a vendere. A farne le spese, ovviamente, è la qualità». E su questo, non serve aggiungere altro.

Insomma, volendo tirare le fila di questo discorso che punta a difendere il caffè di Napoli dalle accuse di ‘mediocrità’, senza però negare che ci sia un problema di fondo ben radicato nella mancanza di qualità in ciò che beviamo, è sempre vero che c’è una forte cassa di risonanza per tutto ciò che non funziona, e invece nemmeno un piccolo microfono “per tutti i baristi che si fanno in quattro e che sono eccezionali”, come dice Francesco. È quindi vero che in molti bar partenopei la qualità non è quella della vera tradizione dell’espresso Napoletano, ma questo non è specchio di una città bensì di un intero Paese che ha anteposto i prezzi alla qualità e il profitto alla conoscenza. Lungi da noi voler puntare il dito contro qualcuno, forse anche questo nostro punto di vista, conscio di un problema ma non generalista, può far luce su questioni ben preoccupanti su alcuni aspetti del caffè in Italia. Ognuno guardi in casa propria e cerchi di farlo in maniera costruttiva, Gambero Rosso compreso. Siamo poi così sicuri che i migliori Bar d’Italia presenti nella loro Guida siano un vero esempio di eccellenza?